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BRAIN DRAIN - Analisi relativa all'Università di Pavia

A cura di Silvia Cassola, Federica Doveri, Giulia Guido, Keisi Keci e Davide Scarcella. Dalla rubrica "Lavori di ricerca empirica" degli studenti dell'Università di Pavia per il corso di Statistica Sociale
Il fenomeno della fuga di cervelli, o "brain drain", si riferisce alla tendenza, sempre più frequente negli ultimi anni, da parte di professionisti, ricercatori, lavoratori e giovani laureati ad emigrare in cerca di opportunità di lavoro e di un migliore sviluppo della propria carriera all'estero.
Attraverso uno studio empirico condotto durante il corso di Statistica Sociale all’Università di Pavia è stata ricercata una possibile evidenza di questo fenomeno all’interno dell’ateneo stesso.
Quali sono le prospettive degli studenti? Sono diverse dalle scelte degli ex studenti ormai lavoratori? Ci sono dei fattori che possono influenzare le scelte? Qual è l’opinione generale del fenomeno?
Per rispondere a queste domande è stata svolta una preliminare raccolta di dati articolata in due parti: la diffusione di un questionario e tre rilevanti testimonianze perfettamente in linea con il case study; seguita da un’analisi degli stessi.
Da una stima nazionale emerge che l’8% dei laureati italiani ora lavora all’estero, rispetto ad un 26.7% di ex studenti dell’Università di Pavia ricavato attraverso i dati raccolti. Questa percentuale più elevata rispetto alla media è sintomo di un campione analizzato piuttosto ristretto e della ricerca di testimonianze di soggetti che dopo gli studi hanno lasciato l’Italia.
Questo fenomeno costa all’Italia ogni anno la perdita dell’1% del PIL.
Da un’analisi svolta sugli studenti appare una correlazione tra facoltà scientifiche e la scelta di lavorare in un Paese fuori dall’Italia. I motivi principali della scelta ricadono su prospettive di vita migliori, salari più alti e maggiori opportunità di crescita professionale.
Inoltre, risulta evidente che gli studenti che hanno vissuto un’esperienza all’estero hanno una propensione maggiore alla scelta dell’estero come ambiente lavorativo.
Per quanto riguarda i lavoratori invece i risultati sono simmetricamente opposti, per cui risulta un maggior numero di laureati in facoltà umanistiche ad aver scelto un Paese diverso dall’Italia per lavorare.
In particolare i nostri testimoni, che hanno seguito una carriera accademica, hanno trovato maggiori opportunità all’estero, più precisamente in ambiente anglosassone. Questo è dovuto al fatto che questi Paesi cercano di attirare i neolaureati italiani data la preparazione tendenzialmente di qualità.
Da un confronto con l’estero sono inoltre emerse sostanziali differenze nel sistema scolastico: gli studenti italiani risultano molto preparati, ma gli studenti inglesi sono seguiti e invogliati allo studio in modo più efficace.
Come ha evidenziato Lorenza Rossi, Professoressa ordinaria a Lancaster e Professoressa in aspettativa a Pavia, in Italia lo studio è per tutti ma questo non permette ai più bravi di essere adeguatamente premiati: i loro sacrifici vengono spesso sottovalutati e ciò porta molti a decidere di andare via.
I settori maggiormente colpiti da questo fenomeno sono l’ambito accademico e medico, anche se risulta una consistente e sempre più frequente fuga di imprenditorialità che non può essere sottovalutata. Il problema riguarda la mancanza di incentivi a rimanere di fronte a prospettive di indipendenza economica e familiare più imminenti all’estero.
Anche Luciana Dalla Valle, Associate Professor of Data Science and Statistics a Plymouth, ha sottolineato come ricominciare la propria vita in un altro Paese sia una scelta difficile e molto coraggiosa, ma spesso inevitabile. Infatti, come è emerso dalle risposte del nostro questionario, una delle principali ragioni della fuga di cervelli è proprio la ricerca di migliori opportunità lavorative e di vita. Luciana stessa ha affermato che tornerebbe in Italia se le venisse offerta una posizione lavorativa che le possa garantire i medesimi standard di vita.
I testimoni evidenziano infatti una questione piuttosto rilevante: una volta trovato lavoro all’estero o si decide di rimanere e costruirsi una vita in un determinato Paese, o si tende a tornare, come mostra l’esperienza del Professor Valerio Veglio, attualmente Assistant Professor of International Management a Pavia.
Che sia visto come un problema o come un’opportunità, il brain drain rimane un fenomeno particolarmente controverso che potrebbe essere analizzato anche da altri punti di vista. Ad esempio, parallelamente ai neolaureati esiste un flusso sempre più in crescita di giovani non laureati che emigra all’estero spinto anch’esso da motivazioni lavorative.
Per l’Italia è importante sia cercare di mantenere gli italiani offrendogli maggiori opportunità sia attrarre cervelli stranieri, in quanto molti studi mostrano come la diversità culturale, sociale e di idee siano ingredienti primari per il successo nell’impresa, nella ricerca e nell’innovazione.

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