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Come interpretare gli indicatori di integrazione degli immigrati?

di Emilio Gregori
Mutamento Sociale n.6 - 2005

Nel corso degli ultimi anni è maturata sempre di più l’esigenza di disporre di un sistema di monitoraggio sul fenomeno dell’immigrazione in generale e dell’integrazione degli immigrati in particolare, attraverso un paniere di indicatori quantitativi. In questa direzione vanno infatti a livello istituzionale i lavori del Comitato di esperti sull’integrazione e le relazione intercomunitarie e del Comitato europeo sulle migrazioni del Consiglio d’Europa, i lavori sul cosiddetto “Integrometro" della Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati* e recenti contributi del CNEL**.


In questi lavori, così come in tutte le altre più significative esperienze sul tema ***,  emergono forti analogie ed elementi di comunanza circa la definizione delle dimensioni da analizzare, la costruzione degli indicatori, le fonti di dati, le metodologie e le misure da utilizzare; sembra infatti potersi dire che su questi puntici sia già una significativa convergenza della comunità scientifica. Si tratta di un aspetto importante e particolarmente positivo se si tengono in considerazione le numerose problematiche che emergono quando si parla di indicatori di integrazione degli immigrati, prima fra tutti la definizione degli stessi concetti di integrazione e di immigrato e non ultima una purtroppo ancora penalizzante scarsità di dati da fonti amministrative o del SISTAN***. Così, ad esempio nell’operazionalizzazione delle misure, sia per problemi di complessità operativa, sia in ragione degli scarsi dati disponibili, il concetto di immigrato tende giocoforza a coincidere tout court con quello di straniero.

C’è però un aspetto sul quale sembrano necessari ulteriori momenti di riflessione, ovvero la corretta interpretazione del contenuto metrico degli indicatori.

Da un lato, secondo un approccio ormai consolidato, l’integrazione non può essere misurata solo da semplici tassi di incidenza degli immigrati su un segmento della popolazione, come ad esempio la quota di stranieri sul totale della popolazione o la quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati; né è possibile misurare il livello di integrazione tramite tassi specifici, ad esempio il tasso di attività o il tasso di disoccupazione, riferiti però solo agli stranieri: è necessario infatti relativizzare tali indicatori a un dato medio riferito alla popolazione autoctona o quantomeno alla popolazione totale. In altri termini, la dimensione quantitativa dell’integrazione non può che essere connessa alla differenza che emerge dal confronto tra il valore dell’indicatore calcolato sulla popolazione straniera e il valore di riferimento calcolato sulla popolazione autoctona.

Dall’altro lato però, posto che questo confronto sia statisticamente valido è fondamentale l’adozione di una corretta interpretazione sociologica di questo “scostamento" dalla media. Occorre infatti avere ben presente che il collettivo della popolazione immigrata è portatore di un diverso capitale umano, sociale e culturale, ma, soprattutto, è soggetto a vincoli giuridici diversi.

Ad esempio, in base a dati Istat non ufficiali, il tasso di attività**** della popolazione straniera risulta pari a circa il 70%, dieci punti percentuali in più rispetto al dato medio complessivo. Come interpretare questo dato? Indica un livello di integrazione alto, perché è sinonimo che gli immigrati sono più attivi sul mercato del lavoro? O al contrario indica un livello di integrazione basso, perché spia del fatto che gli immigrati non possono permettersi di essere “inattivi" quanto lo sono gli italiani?

Forse, come suggerito da alcuni, data la sostanziale ambivalenza di alcuni indicatori, non occorre tanto considerare il segno dello scostamento, quanto la sua entità (o, se si preferisce, in termini matematici la differenza in valore assoluto). Il livello di integrazione della popolazione straniera è dunque da intendersi tanto più alto quanto più simili sono i valori di un indicatore calcolati sul collettivo di stranieri e sulla popolazione autoctona.

Ma, come detto prima, lo status giuridico di straniero, gioca un ruolo determinante. Ad esempio la diminuzione della disoccupazione registrata negli ultimi anni, appare più marcata per le forze di lavoro straniere, tanto che oggi il tasso di disoccupazione degli stranieri (12,1% in base ai dati dell’ultimo censimento, meno del 10% in base a dati Istat non ancora ufficiali) è molto simile a quello degli italiani (il dato Istat dell’Indagine sulle Forze di Lavoro a fine 2004 è pari all’8,2%). Da questo punto di vista quindi il livello di integrazione dei lavoratori stranieri sembra essere aumentato, in quanto la possibilità di accesso al mercato del lavoro per gli immigrati non è molto diversa da quella degli italiani. In realtà, la determinante principale di questa dinamica potrebbe essere ricondotta al fatto che la condizione di occupato è sempre di più un presupposto necessario per la presenza regolare in Italia e che la disoccupazione può essere per un immigrato solo una condizione temporanea (in mancanza di occupazione, alla scadenza del permesso di soggiorno, è consentito un rinnovo di soli 6 mesi per la ricerca di un nuovo lavoro). L’avvicinarsi del tasso di disoccupazione degli stranieri a quello degli italiani potrebbe essere dovuto semplicemente all’introduzione di criteri normativi per il rilascio del permesso di soggiorno via via sempre più rigidi, senza che il grado di integrazione sul mercato del lavoro abbia conosciuto in realtà significativi miglioramenti.

Come si vede dunque, la possibilità di disporre di un paniere di indicatori di integrazione degli immigrati rappresenta una grande opportunità per l’assunzione di decisioni corrette a livello di policy making, ma come dimostrato dai due semplici esempi sopra riportati, affinché le decisioni prese siano corrette è altrettanto importante che sia posta la necessaria cautela nell’interpretazione dei risultati, evitando di tratte conclusioni affrettate o non ponderate.

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* Zincone G. (a cura di), Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, il Mulino, Bologna, 2000; Zincone G. (a cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, il Mulino, Bologna, 2001;
** CNEL, Indici di inserimento territoriale degli immigrati in Italia, Roma, 2004
*** Va sottolineato tuttavia che a tale scarsità di dati, gli Enti del Sistema Statistico Nazionale (in particolare l’Istat), stanno cercando di porre rimedio.
**** Ovvero la percentuale di persone tra 15 e 64 anni occupate o in cerca di occupazione sulla popolazione totale tra 15 e 64 anni


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