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COVID-19, i team si salveranno con la formula “communicate more and better”

di Paolo Fossati
Due settimane fa abbiamo partecipato a un webinar di AIDP Piemonte, di cui siamo soci (Associazione Italiana Direzione Personale). Tema: il micro-coaching sul luogo di lavoro. E oggi intendiamo condividere la riflessione che ne è scaturita, traducendo il tutto a vostro beneficio, cari colleghi della Pubblica Amministrazione. 
 
Cos’è il micro-coaching? E come si applica, specie di questi tempi, dove metà della forza lavoro è in smart working? Risposta: il micro-coaching è lo strumento che realizza il nostro sogno di connettere il team di lavoro, indipendentemente dal luogo fisico in cui si trovano i suoi componenti. Perché più del dove lavoriamo conta il con chi e come lavoriamo. Siamo nel 2020 e la tecnologia fa miracoli e va sfruttata appieno.
 
Dunque, micro-coaching. Immaginate una collega, chiamiamola Anna, da marzo in smart working, che si alza il mattino, prende il caffè e, puntuale alle 8.00, si sistema nel salotto di casa e accende il PC aziendale. Compila alcuni file excel, risponde a numerose email, effettua qualche telefonata, scrive una relazione, consulta svariate banche dati e così facendo arriva all’una, l’ora di pranzo. Ovviamente nel corso della mattina ne ha approfittato per un giro di lavatrice, per rifare i letti, passare l’aspirapolvere e mettere su il riso integrale. Al telefono ha sentito colleghi e capo, certo, ma sono state per lo più conversazioni molto tecniche, mirate a risolvere specifiche criticità di lavoro. Infatti non è andata oltre al “ciao come stai?” e a qualche generica lamentela per l’insolita situazione, causa Covid-19.
 
Ora, invece, immaginate la stessa Anna che alle 8.00 precise ha una riunione virtuale di un quarto d’ora con tutti i colleghi del team, responsabile compreso, dove l’obiettivo principale è di vedersi in faccia, salutarsi, e condividere i compiti della giornata, in modo che tutti sappiano cosa stanno facendo gli altri, con la possibilità di offrire/raccogliere aiuto. In ufficio si chiamerebbe “stand up” meeting, on-line chiamatela come volete, ma il senso è quello. Non è finita. Alle 8.16, cioè concluso l’appuntamento plenario, cominciano riunioni individuali di 5 minuti, capo-collaboratore. Riunioni che possono svolgersi in video, oppure per iscritto, dove il responsabile più che dire fai questo, fai quello, utilizza lo strumento numero uno nel coaching, cioè le domande, per arrivare rapidamente al cuore delle criticità e permettere di volta in volta al collaboratore di individuare la miglior soluzione.
 
Nel caso di Anna il suo responsabile Fabio, sapendo che il giorno prima lei ha partecipato ad un corso di formazione on-line, le chiede quale obiettivo si è data per sfruttare al meglio le nozioni apprese. Anna risponde di sentirsi confusa e di aver bisogno di fare chiarezza sulle sue priorità. Fabio è lì apposta e la aiuta a costruire l’obiettivo della giornata che sia SMART. Sapete, no? Specifico, misurabile, raggiungibile, realistico e con una scadenza certa…
 
Concretezza sempre ai massimi livelli, niente fronzoli, get to the point, stile “criticità-obiettivo-soluzione”. 
 
Ecco il micro-coaching: una comunicazione one-on-one spiccia, costante, una, due, tre volte al giorno, insomma quel che serve, pratica, tangibile, utile, per far sentire tutti a bordo, infondere fiducia e incoraggiamento. E così spieghiamo il titolo del post di oggi, con quell’insolito communicate more and better, cioè comunicate di più e meglio, che è la carta vincente dei team che funzionano e producono risultati, nonostante l’emergenza Coronavirus. 
 
A proposito dell’essere pratici: la conversazione tra Anna e Fabio si traduce in questo schema, lo stesso che ci è stato proposto al webinar di AIDP

Colleghi, non c’è un altro modo. Per i capi timidi barricati in ufficio e abituati, quando organizzano riunioni, a parlare per la maggior parte del tempo – o a lasciare che uno o due soggetti parlino per la maggior parte del tempo (che è lo stesso…) – è arrivato il momento di cambiare marcia e modificare il comportamento quel tanto che basta per fare la differenza, dismettendo i panni del manager e vestendo quelli del leader. 
 
Del resto da sempre a depotenziare l’impegno dei dipendenti sono l’incertezza e il senso di abbandono da una parte, e il sentirsi trattati come bambini dall’altra: non so cosa ci si aspetta da me e, se ho una criticità, o non so con chi parlarne oppure, peggio, mi viene detto fai così!, senza ascoltare la mia opinione.
 
Ma attenzione, colleghi: non vogliamo intendere che negli scambi mattutini capo-collaboratore il secondo scarichi sul primo la responsabilità di giungere alla soluzione dei problemi. No, no… Intendiamo dire che il capo offre la sua presenza, il suo aiuto, un piccolo tocco magico, un aggiustamento di rotta affinché il collaboratore giunga da solo alla soluzione.
 
Nell’esempio riportato sopra Fabio non dice a Anna quali sono le priorità del suo lavoro ma, chiedendole di fissare un obiettivo che sia specifico, misurabile, raggiungibile, realistico e con una scadenza certa, la induce a utilizzare la cosiddetta matrice di Eisenhower, pensata proprio per stabilire le priorità, e che sarà lei, in autonomia, a compilare. 
 
E pensate che bello continuare così anche quando l’emergenza sarà finita. Avremo fatto un passo avanti verso la Pubblica Amministrazione che sogniamo e che siamo certi si realizzerà. 
 
Salutiamoci con due suggerimenti. Uno per i capi, l’altro per i collaboratori. Da domani, cari responsabili, abbiate il coraggio di programmare una riunione di 15 minuti, non di più, con tutta la vostra squadra per fissare gli obiettivi della giornata, e poi a seguire abbiate il coraggio di convocare riunioni singole di 5 minuti per chiedere ai vostri collaboratori se sono alle prese con particolari criticità e come pensano di risolverle (domanda aperta…). Per voi, invece, cari collaboratori, abbiate il coraggio di proporre ai vostri responsabili lo stesso schema. FUNZIONA! 
 
Ad maiora!
 
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