Emergenza COVID-19: i fondi destinati ai Comuni per l’emergenza alimentare
Di Anna Rio, Emilio Gregori e Giovanni Viganò
La pressione dell’emergenza tocca in modo forte e tangibile i Comuni, che devono affrontare con soluzioni rapide ed efficaci le nuove fragilità sociali, economiche e alimentari. A supporto degli enti territoriali è stato predisposto nei giorni scorsi un “pacchetto” emergenziale costituito da due interventi di finanziamento.
Innanzitutto, con il DPCM del 28 marzo è stato definito il trasferimento anticipato della prima rata del Fondo di solidarietà comunale, pari al 66%, che corrisponde a poco più di 4,3 miliardi visto che il Fondo per il 2020 è, complessivamente, di 6.552.579.000 euro. Le modalità di riparto delle risorse del Fondo sono quelle previste dalla normativa di riferimento (in particolare la Legge 232 del 2016), che prevede l’utilizzo di diversi criteri: viene ripartita sulla base del gettito effettivo IMU e TASI relativo all’anno 2015 la componente del Fondo “ristorativa”, che per il 2020 è di quasi 3,8 miliardi; la quota “tradizionale” è invece distribuita per una parte (quest’anno il 50%) in base a un criterio perequativo che considera la differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard dei Comuni, per il restante 50% secondo il criterio della compensazione della spesa storica. Questo primo strumento di finanziamento, realizzato con diverse settimane di anticipo rispetto alla scadenza altrimenti prevista per maggio, rappresenta per i Comuni un importante supporto al sistema di gestione dell’emergenza sociale aggravata dalla pandemia e dalle conseguenti misure restrittive di contenimento.
Il secondo è stato messo in campo dall’ordinanzadella Protezione Civile del 30 marzo, che ha previsto lo stanziamento immediato di 400 milioni finalizzati alla gestione dell’emergenza alimentare e ripartiti per l’80% in proporzione alla popolazione residente e per il 20% in base alla distanza ponderata tra il valore del reddito pro capite di ciascun Comune e il valore medio nazionale; in ogni caso, ogni Comune ha diritto a una quota di finanziamento non inferiore a 600 euro. Secondo l’ordinanza della Protezione Civile, il finanziamento così corrisposto, a cui i Comuni possono decidere di aggiungere anche eventuali donazioni detraibili, è vincolato a due tipi di interventi di “solidarietà alimentare”: il potenziamento dei servizi di distribuzione alimentare e l’erogazione di buoni spesa. È evidente che in questo momento l’obiettivo per i Comuni deve essere quello di muoversi con strategia e tempestività, a fronte di una domanda di aiuti sempre più intensa. L’ordinanza precisa alcune questioni, in particolare adottando posizioni di “tolleranza”, lasciando sostanzialmente aperta ogni possibilità di soluzione organizzativa e operativa da parte dei comuni. I singoli enti, infatti, possono definire gli strumenti più conformi ai bisogni e alle caratteristiche socioeconomiche e territoriali. Una maggiore flessibilità da parte delle istituzioni centrali, che deve essere nota ai Comuni, è individuata da due importanti disposizioni contenute nell’ordinanza: la prima prevede che per i finanziamenti 2020 non vengano applicate le sanzioni connesse al mancato assolvimento del debito informativo verso la SOSE per i costi standard (art. 5, comma 1, D. lgs 166/2010) e quelle applicate per la mancata certificazione bilancio comunale (art. 161, comma 4, D. lgs 267/2000); la seconda contempla una deroga al Codice dei contratti pubblici (D. lgs 50/2016) per le acquisizioni di “solidarietà alimentare” fatte utilizzando la propria parte dei 400 milioni e le eventuali donazioni ricevute. In una situazione di emergenza infatti la priorità è quella di mettere i Comuni nelle condizioni di perseguire gli obiettivi di efficacia e tempestività, eliminando alcuni potenziali ostacoli amministrativi.
Un elemento su cui l’ordinanza lascia pochi dubbi è l’individuazione del livello di responsabilità operativa per la realizzazione di queste misure: l’Ufficio dei servizi sociali comunali – e dunque non il livello distrettuale – rappresenta il nucleo operativo competente per l’analisi dei bisogni del territorio di riferimento, l’individuazione della platea dei beneficiari e la formulazione delle forme di assistenza che rispondano in modo più appropriato alle necessità. Rispetto all’implementazione concreta degli interventi, si specifica che è consentito – e ragionevolmente auspicato – il coinvolgimento e la collaborazione con la rete degli enti del terzo settore già attivati nell'ambito del Programma operativo del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), per l’acquisto e la distribuzione di generi alimentari; nessuna indicazione è invece fornita riguardo al sistema di convenzionamento con gli esercizi commerciali e di consegna dei ticket ai beneficiari: sta dunque ai Comuni la scelta dei partner e delle soluzioni ottimali.
Lo spazio di autonomia è aperto anche rispetto alla definizione dei criteri da applicare per individuare la platea di beneficiari delle misure di solidarietà alimentare, dal momento che si richiede esclusivamente di dare “priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico”. Davanti a questo vuoto di indicazioni, la riflessione tecnica e strategica a livello comunale deve coniugare due livelli di conoscenza e analisi: da una parte il funzionamento del “pacchetto” emergenziale a diposizione, dall’altra le risorse e gli strumenti offerti in termini di rete, servizi e misure di contrasto alla povertà e alle fragilità già attive sul proprio territorio.
Raccogliendo le riflessioni e i dubbi applicativi provenienti da diversi Comuni italiani, ANCI ha pubblicato una nota di indirizzo (alla cui cruciale disseminazione sul territorio, come da invito di ANCI, intendiamo anche noi contribuire con questa pagina) che integra l’ordinanza con alcune indicazioni e suggerimenti operativi. Rispetto all’erogazione di buoni spesa (dunque il primo tipo di misura di “solidarietà alimentare”) vengono sottolineate le possibilità di azione che possono essere percorse dai comuni, in particolare: l’utilizzo e l’estensione di titoli di acquisto (ad esempio voucher sociali) già in uso; l’acquisto di buoni pasto spendibili per il servizio sostitutivo di mensa; l’affidamento dell’intervento a operatori esterni, senza passare per l’attivazione di una procedura ad evidenza pubblica. Si evidenzia, inoltre, che per l’individuazione degli esercizi commerciali, non essendo prevista alcuna procedura standardizzata, gli enti possono procedere come ritengono più opportuno: ad esempio convenzionandosi direttamente con esercizi commerciali che hanno manifestato interesse o creando elenchi “aperti”, senza scadenza, per raccogliere adesioni da parte degli stessi. Rispetto all’ordinanza, viene poi accennato nella nota un ampliamento della riflessione sulle possibili modalità d’individuazione della platea dei beneficiari ed il relativo contributo, di competenza dell’ufficio dei Servizi Sociali comunali. Infatti, se è vero che è necessario dare priorità ai cittadini non già beneficiari di altri sostegni pubblici (RdC, Rei, Naspi, indennità di mobilità, cassa integrazione guadagni, altre forme di sostegno previste a livello locale o regionale), non bisogna escludere a priori queste ultime categorie, il cui bisogno potrebbe essersi aggravato a causa delle conseguenze multidimensionali dell’emergenza in corso. Dunque, ferma restando la priorità nei confronti di chi non è percettore di altre forme di contributo, è possibile contemplare un sostegno ulteriore anche per i nuclei beneficiari di altre misure; ad esempio per i nuclei RdC in carico ai servizi sociali si potrebbe prevedere, in caso di evidenza del bisogno, l’integrazione del Patto per l’Inclusione Sociale con una misura di solidarietà alimentare. L’aspetto tuttavia di garantire forme di priorità in avvisi pubblici necessariamente a sportello, non è tuttavia secondario. In assenza di precise indicazioni in merito, una soluzione può essere quella di prevedere una scadenza intermedia dell’avviso, prima della quale hanno accesso solo i soggetti prioritari e dopo la quale hanno accesso tutti i potenziali beneficiari; in alternativa, è possibile immaginare di spacchettare il finanziamento in due filoni da utilizzare separatamente fino a esaurimento, uno più corposo destinato solo ai beneficiari in priorità 1, l’altro aperto a tutti.
Per quanto riguarda le procedure di domanda dei contributi – lo abbiamo già sottolineato – i Comuni sono liberi di attivare le soluzioni più congeniali, purché rapide. Nella nota di indirizzo di ANCI si individua la possibilità di pubblicare un “avviso aperto e a scorrimento dei richiedenti aventi diritto fino ad esaurimento delle spettanze o delle risorse comunque disponibili” e di “procedere con modelli di autocertificazione che consentano la richiesta di accedere celermente alle misure”. Inoltre, per il calcolo del contributo spettante, i servizi sociali possono prevedere di applicare criteri proporzionali, fino ad esaurimento fondi. Inoltre, ANCI suggerisce “di rilasciare formale certificazione con un numero univoco di progressione ai beneficiari delle misure”, al fine di rendere possibile “un loro riconoscimento da parte degli esercenti degli esercizi commerciali”.
Davanti alla straordinarietà di questa emergenza gli Uffici possono dunque decidere di erogare i servizi e le risorse a disposizione a chiunque ne dichiari effettivo bisogno, in un’ottica puramente assistenziale. Sull’organizzazione delle modalità di trasmissione delle domande da parte dei cittadini, il Servizio dovrà fare le proprie valutazioni strategiche, sui cui la Nota di ANCI non può entrare nel dettaglio. Al fine di eliminare ogni rischio di assembramento, è ragionevole tuttavia attivare un form di domanda online e/o uno sportello telefonico che preveda chiamate registrate, in particolare per il momento di rilascio dell’autocertificazione. In entrambi i casi il servizio sociale potrebbe procedere con una semplice valutazione del bisogno sulla base di alcune caratteristiche del nucleo (numero dei componenti, età e condizioni sociali, particolari esigenze alimentari, etc) e la definizione di un piano di intervento alimentare e del relativo profilo di spesa. Se non vi sono strumentazioni idonee, una soluzione alternativa o integrativa può prevedere che l’operatore telefonico compili l’autocertificazione e il cittadino la sottoscriva al momento della consegna dei buoni, previo appuntamento, per rispettare le misure di contenimento.
ANCI è infine intervenuta con la pubblicazione di uno schema dell’atto di indirizzo ai servizi sociali che la Giunta comunale potrebbe deliberare, anche se l’ordinanza della Protezione Civile non ne prescrive l’obbligo (Fac simile atto di indirizzo Giunta Comunale) e con una nota con l’obiettivo di supportare i Comuni nelle attività di gestione contabile dei contributi assegnati e delle eventuali donazioni ricevute, secondo alcune linee guida (Contabilità fondo alimentare). Ad essa ANCI ha allegato due tracce di deliberazione di recepimento delle nuove risorse disponibili nel bilancio definitivo (Variazione bilancio definitivo) e in quello provvisorio (Variazione bilancio provvisorio).