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La direttiva 2/2019, che mira a rafforzare il ruolo dei Comitati Unici di Garanzia, afferma che le amministrazioni pubbliche devono promuovere analisi di bilancio che mettano in evidenza quanta parte e quali voci del bilancio di una amministrazione siano (in modo diretto o indiretto) indirizzate alle donne, quanta parte agli uomini e quanta parte a entrambi. Indica inoltre che al fine di poter allocare le risorse sui servizi in funzione delle diverse esigenze delle donne e degli uomini del territorio di riferimento, la predisposizione dei bilanci di genere di cui all’art. 38-septies della legge n. 196 del 2009 e alla circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 9 del 29 marzo 2019, diventi una pratica consolidata nelle attività di rendicontazione sociale delle amministrazioni.
La direttiva indica inoltre che l’amministrazione deve trasmettere al CUG, secondo il format messo a disposizione, il bilancio di genere.
Ma di cosa si parla esattamente quando si parla di bilancio di genere?
Il bilancio di genere è uno strumento per la valutazione del diverso impatto delle politiche di bilancio sulle donne e sugli uomini, in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito, tramite una maggiore trasparenza della destinazione delle risorse e attraverso un’analisi degli effetti delle suddette politiche in base al genere.
Il decreto legislativo del 12 maggio 2016, numero 90, attraverso l’articolo 9, comma 1, alla legge del 31 dicembre 2009, numero 196, ha aggiunto l’articolo 38-septies, riguardante per l’appunto il bilancio di genere. L’articolo, in vigore dal 24 ottobre 2018, avvia “un'apposita sperimentazione dell'adozione di un bilancio di genere, per la valutazione del diverso impatto della politica di bilancio sulle donne e sugli uomini, in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito anche al fine di perseguire la parità di genere tramite le politiche pubbliche, ridefinendo e ricollocando conseguentemente le risorse, tenendo conto anche dell'andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile”.
In particolare, il bilancio di genere prevede, da un lato, la riclassificazione contabile delle spese del bilancio dello Stato e, dall’altro, l’individuazione di indicatori per monitorare le azioni intraprese per incidere sulle disuguaglianze di genere e la loro associazione alle strutture del bilancio contabile. I criteri per la riclassificazione delle spese sono indicati nella circolare del 29 marzo 2019, numero 9, emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che indica linee guida apposite.
La costruzione del bilancio di genere comporta una “riclassificazione” delle spese del bilancio alla luce di una valutazione del loro diverso impatto su uomini e donne, considerando come unità di analisi il singolo piano gestionale di ciascun stato di previsione. L’individuazione della categoria da adottare deve avvenire sulla base dell’autorizzazione di spesa, della denominazione del capitolo/piano gestionale e dei dati sulle attività svolte.
Dal punto di vista pratico, si tratta di classificare ciascuna voce di spesa fra tre categorie, esaustive e mutualmente esclusive. Si distingue infatti tra spese “neutrali”, cioè non connesse al genere, spese “sensibili”, ossia le misure che hanno un diverso impatto su uomini e donne, e spese “dirette a ridurre le diseguaglianze di genere”, ovvero le misure direttamente riconducili o mirate a ridurre le diseguaglianze di genere o a favorire le pari opportunità.
La categoria che comporta maggiori difficoltà di definizione è quella delle spese “sensibili”. Per questo, la direttiva specifica che si tratta di spese erogate a individui attraverso trasferimenti sia di parte corrente sia in conto capitale, e che hanno una caratteristica di genere in base all’individuo a cui sono destinate. Rientrano tra le spese “sensibili” anche le spese che, pur non essendo destinate direttamente a individui, possono incidere anche in maniera indiretta sulle diseguaglianze di genere poiché si tratta di spese destinate alla produzione di servizi individuali, cioè fruiti direttamente dalle persone.
A scopo esemplificativo, sono da considerarsi “sensibili” le spese destinate alla produzione di servizi individuali erogati direttamente dall’amministrazione statale come l’istruzione scolastica e il mantenimento dei detenuti; agli interventi che hanno effetti sulla redistribuzione dei redditi verso specifici segmenti della popolazione, caratterizzati da una forte prevalenza di genere; alle misure di assistenza che potrebbero avere un impatto diverso su uomini e donne per le loro diverse caratteristiche sociali ed economiche; alle borse di studio concesse dall’amministrazione a individui che possono avere una diversa propensione a partecipare per via del genere.
Non sono da considerare “sensibili” al genere, ma “neutrali”, le spese per le quali il presupposto al beneficio è determinato da una caratteristica dell’individuo sulla quale l’intervento non può incidere neppure in via indiretta, come le spese destinate alle vittime di terrorismo o del dovere e dei loro familiari e i premi per i ritrovamenti di oggetti d’arte. Occorre poi tenere presente che le spese “sensibili” possono diventare “dirette a ridurre le diseguaglianze di genere” se l’amministrazione realizza gli interventi tramite modalità che tengono conto del diverso impatto che possono avere sull’accesso all’intervento, la partecipazione, l’efficacia nei confronti degli uomini e delle donne.
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