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Famiglie migranti ricongiunte: risorse e criticità in gioco, esperienze di percorsi di sostegno al ricongiungimento

di Chiara Lainati e Giancarlo Di Fiore

Mutamento Sociale n.10 - Marzo 2006


Nella sua camera da letto nel seminterrato dei datori di lavoro, a Washington D.C., Rowena Bautista tiene sul cassettone quattro fotografie: due dei suoi figli, Clinton e Princela, risalgono a cinque anni prima. Come ha raccontato al giornalista Robert Frank, “foto più recenti mi ricorderebbero tutto quello che ho perso”. Per due anni non è tornata a casa per Natale e in occasione della sua ultima visita suo figlio Clinton si è rifiutato di abbracciarla. “Perché sei tornata?” le ha chiesto. (Hochschild A.R. “Amore e oro” in Hochschild A.R., Ehrenreich B.,2004, Donne globali. Tate, colf e badanti, p.21).

Come Rowena Bautista molti padri e madri che emigrano si trovano a vivere e a sostenere una genitorialità a distanza. Questa esperienza spesso è il passaggio obbligato per l’attuazione del progetto di ricongiungimento con tutta la famiglia, o parte di essa, una volta raggiunta una certa stabilità economica e abitativa. Le relazioni genitori-figli a distanza e il successivo ricongiungimento sono eventi critici che fanno parte del ciclo familiare di molti migranti e come tali devono essere compresi per poter rispondere in modo adeguato ai bisogni che esprimono nel corso del loro processo di stabilizzazione insediativa.

Sul territorio del Comune di Milano, negli ultimi anni, molte realtà del terzo settore stanno sperimentando percorsi di supporto importanti per quel che riguarda i ricongiungimenti. La possibilità di confrontarsi intorno al tavolo dei ricongiungimenti promosso dall’Ufficio Stranieri ha messo sempre più in evidenza l’importanza di un lavoro di rete tra le diverse aree di intervento (scuola, accompagnamento educativo e supporto psicologico). Il lavoro congiunto di Synergia e della Fondazione L’Aliante ha permesso di integrare lo sguardo delle scienze sociali con quello dell’intervento psicologico ed educativo arrivando a definire un quadro interpretativo e una metodologia di intervento che si stanno consolidando nel tempo.

In Italia a partire dall’entrata in vigore del T.U. 286/98 sull’immigrazione, il ricongiungimento familiare, cioè la riunificazione tra i membri appartenenti alla stessa famiglia, è diventato un diritto inalienabile per tutti i cittadini stranieri presenti regolarmente sul territorio italiano. Il Testo Unico riconosceva la possibilità del ricongiungimento non solo per i membri della famiglia nucleare ma anche per i fratelli, le sorelle e i membri oltre il terzo grado. Con l’avvento della legge 189/2002 (Bossi-Fini) le possibilità si sono ridotte. Il diritto al ricongiungimento è limitato solo ai membri della famiglia nucleare (i figli non devono avere compiuto i 18 anni), ed esclude i parenti ascendenti e collaterali, cioè non riconosce tutte quelle forme estese che in altri paesi hanno una funzione di riferimento e di sostegno per i membri del nucleo. In questo modo la normativa italiana si è allineata a quelle europee.

A fronte di una chiusura programmatica delle frontiere, tanto in Italia quanto in tutti i paesi d’Europa, il ricongiungimento familiare è diventato uno dei principali canali di ingresso per i nuovi arrivi: di mogli o mariti che si riuniscono al proprio consorte e di figli e di figlie minorenni che raggiungono i propri genitori dopo anni vissuti a distanza.  In provincia di Milano tra il 1996 e il 2002 i permessi per motivi familiari sono raddoppiati e continueranno a crescere, considerando l’esito dell’ultima regolarizzazione che ha comportato un aumento della popolazione straniera adulta residente sul territorio di ben il 50%. Nella maggior parte dei casi gli alunni stranieri iscritti a scuola sono nati all’estero e per lo più negli ultimi cinque anni.

Il ricongiungimento mette in atto inedite pratiche sociali che riconfigurano ruoli e relazioni familiari differenziati nel tempo e nello spazio e contribuisce alle fratture e ai conflitti coniugali e intergenerazionali. Le forme familiari sono plurime e non sempre sono accolte e riconosciute perché sono considerate “incomplete”. Il riferimento al nostro modello famigliare nucleare moderno, identificato in un’unica unità domestica come condizione sine qua non della stabilità e del mantenimento dei legami affettivi della famiglia, contribuisce a rafforzare una percezione “problematizzata” della vita a distanza e del successivo ricongiungimento senza davvero comprendere i cambiamenti che agiscono nel profondo e le risorse che vengono attivate per sostenerli, tanto in contesto migratorio che nella società di provenienza.

Quante volte si arriva facilmente all’equivalenza sbrigativa tra lontananza dei genitori o della madre e abbandono dei figli? In realtà scavando nelle reti di queste famiglie spesso emerge il lavoro “ombra” dei membri che abitano al paese di origine e che continuano a mantenere legami fiduciari trascendendo le prossimità fisiche, almeno nei primi anni del ricongiungimento.

Isabel, arrivata in Italia a 11 anni, dopo tre anni che è qua e vive con la madre, è sempre in contatto con la zia che vive al paese e che per lei è sempre la “mamma” (e sua madre è la “zia”) e che le fornisce consigli per le sue scelte e i suoi dubbi. La madre ne è consapevole e contribuisce a mantenere saldo questo rapporto. Felipe non ha mai avuto un padre e nonostante in Italia abbia avuto l’occasione di averne uno perché sua madre si è sposata con un italiano, lo rifiuta e continua a fare riferimento allo zio “quello più giovane e moderno che ho sempre chiamato papà” che vive al paese. Sandra si consiglia sempre con sua cugina maggiore e anzi vorrebbe raggiungerla prima o poi negli Stati Uniti. Sua cugina durante gli anni della lontananza della madre le ha fatto da mamma al paese.

Con tutto questo non si vuole negare la problematicità dell’evento del ricongiungimento ma si vuole insistere sulla necessità di allargare lo sguardo nello spazio e nella storia delle famiglie e dei singoli per non adottare modelli di intervento standard che rischiano di porsi più in una prospettiva erogatrice che di cura delle relazioni e delle risorse del nucleo familiare. Si scoprirebbe così ad esempio che spesso l’“anomalia” familiare nasce già nel paese di origine dove pratiche familiari patriarcali convivono sempre di più con altri modelli come le unioni di fatto, le famiglie monogenitoriali e le famiglie parallele . In Perù ad esempio alla fine del 2001 il 25% delle donne a Lima Metropolitana sono capofamiglia e in tutto il paese il 28% dei capofamiglia convivono. Se è vero che il ricongiungimento e l’esperienza migratoria connessa sono eventi traumatici in se stessi e potenziale causa delle fratture e delle conflittualità familiari e coniugali, è anche vero che è un evento che deve essere collocato in quel continuum di eventi critici del ciclo familiare che hanno già avuto inizio “là” e che hanno la necessità di essere riconosciuti “qua” per riposizionare il ruolo dei genitori e dei figli che si incontrano dopo lungo tempo.

Alla luce di queste considerazioni, le prese in carico di adolescenti stranieri in difficoltà hanno da subito messo in rilievo il ricongiungimento familiare come evento critico che necessita di uno sguardo estremamente attento alle dinamiche relazionali della famiglia in movimento. La famiglia che si riunisce dopo una separazione più o meno lunga si trova a fronteggiare un confronto tra i suoi membri che comprende le aspettative reciproche, le capacità di adattamento individuali e del nucleo familiare, la separazione da precedenti legami e l’investimento sul processo migratorio. In adolescenza inoltre tali dinamiche sono embricate con il processo di sviluppo di individuazione e di separazione dalla nicchia affettiva primaria. I fenomeni di spaesamento che coinvolgono l’adolescente straniero riguardano perciò diversi livelli dello sviluppo psicologico e delle trame relazionali nell’intersezione tra cultura, società, famiglia ed attività psichica. Lo scenario di riferimento socio-affettivo non è più lo stesso ovvero non è soltanto l’adolescente che cambia, ma anche tutto ciò che ha attorno è improvvisamente mutato. Se intendiamo la migrazione come una parafrasi dell’adolescenza ci rendiamo conto di quanto l’adolescente possa avere la necessità di punti fermi a cui ancorare uno sviluppo psichico ancora in fieri. Per i genitori non sempre è possibile svolgere questa funzione in assenza di supporti. A volte il genitore si trova in una situazione di non-integrazione per cui “assomiglia” troppo al figlio per poterlo sostenere, altre volte il rimaneggiamento dei ruoli familiari, dovuto al cambiamento di contesto culturale e socio-economico, fatica a trovare un esito positivo, in altri casi ancora gli orari di lavoro non permettono ai genitori di essere sufficientemente presenti in assenza di quella rete di sostegno sociale presente nel paese di origine. Le aspettative reciproche, inoltre, riguardano spesso il desiderio di ricostituire una famiglia migliore di quanto non fosse nel paese di origine a fronte, ad esempio, di un disagio già presente in precedenza. Vi può essere perciò il rischio di una scotomizzazione delle criticità ove ad esempio le difficoltà sembrano appartenere al passato ed esclusivamente al contesto rappresentato dal proprio paese d’origine oppure di una chiusura all’interno di una nicchia culturale parallela a quella del paese ospitante. Le relazioni intrafamiliari possono perciò essere caratterizzate da processi di idealizzazione e svalutazione reciproci che non favoriscono il rimodellamento delle stesse tra i suoi membri. In altri casi, il figlio non condivide il progetto migratorio del genitore vivendone prevalentemente gli aspetti costrittivi e lo sradicamento dal proprio ambiente di vita. La presenza dei figli inoltre interroga il genitore sul proprio percorso migratorio e spesso lo porta ad una ridefinizione dello stesso poiché il minore porta la famiglia ad interagire maggiormente con il contesto socio-culturale del paese ospitante (istituzioni scolastiche, gruppo dei pari).

Gli adolescenti e i loro genitori che giungono alla Fondazione l’Aliante sono per lo più portatori di un disagio che si manifesta, al punto da non poter essere più eluso, dopo alcuni anni dall’arrivo nel nostro paese, oppure sono da poco giunti in Italia e necessitano di un supporto in alcune aree critiche di prima necessità (supporto scolastico, documenti, collocazione abitativa).

La scuola è il contesto dove il disagio sembra manifestarsi in primo luogo attraverso difficoltà di apprendimento, comportamenti provocatori o di ritiro e difficoltà relazionali. Almeno la metà dei casi di ricongiungimento di cui la Fondazione si è occupata giungono, infatti, da strutture che si occupano di sostegno scolastico o dai C.P.T. Altri enti segnalanti sono i Servizi Sociali della Famiglia, l’Ufficio Stranieri del Comune di Milano, le Comunità di Accoglienza per minori, l’Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni del Ministero di Grazia e Giustizia. Per far fronte a questo disagio la Fondazione ha scelto di avvalersi di una équipe multidisciplinare per supportare il minore e la famiglia su diversi fronti:
- Psicologi (valutazione, sostegno psicologico, psicoterapia);
- Mediatori culturali;
- Educatori (accompagnamento educativo, Borse Lavoro, mediazione con scuola o altri enti)
- Insegnanti della lingua italiana L2: all’interno dei corsi di lingua italiana si svolgono laboratori ludico-espressivi ed autobiografici volti a favorire l’integrazione dei ragazzi e delle ragazze.

La possibilità di offrire diverse forme di intervento permette di accogliere l’adolescente in modo appropriato ai propri bisogni, fornisce al ragazzo diversi ambiti in cui sperimentarsi e agli operatori diverse chiavi di lettura del suo disagio. E’ perciò possibile impostare interventi complessi che comprendono diverse aree (apprendimento, sofferenza psichica, dinamiche familiari, processo migratorio) attraverso un lavoro di équipe integrato e multidisciplinare, attento sia agli aspetti della clinica transculturale che a quelli dell’integrazione socio-relazionale.

Cionostante il servizio da solo non basta e fatica ad intercettare e rispondere ai bisogni senza il concorso di un lavoro di rete tra i servizi territoriali che si occupano di fronteggiare lo stesso tipo di bisogni. Sviluppi futuri in particolare sono da individuarsi nella costruzione di una rete stabile con le scuole , uno dei primi luoghi dove il disagio adolescenziale si esprime e quindi nel lavoro di sensibilizzazione con il corpo insegnante. Il tema del ricongiungimento, inoltre, è trasversale al lavoro con gli adolescenti e i genitori stranieri in tutti gli ambiti (sociale, psicologico, educativo) all’interno dei quali è auspicabile rafforzare la consapevolezza degli operatori che sempre di più devono confrontarsi con il fenomeno.

 

 


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