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Infermiera sì, assessora no? Il linguaggio tra le sfide per i CUG

Di Valerio Langè

Il linguaggio è uno dei temi che ha suscitato e continua a suscitare dibattito nell’ambito della promozione delle pari opportunità e nella lotta alle discriminazioni, in particolare di quelle di genere. Per alcune voci è infatti imprescindibile strumento di emancipazione femminile; per altre, invece, è una falsa priorità, mentre ben altro occorrerebbe per promuovere le pari opportunità di genere.

La direttiva 2/2019, emanata allo scopo di favorire l’efficacia dei Comitati Unici di Garanzia, rafforzandone il ruolo e riunendo le disposizioni in materia di promozione delle pari opportunità, coinvolge in modo puntuale ed esplicito i Comitati Unici di Garanzia sul tema. Al paragrafo 3.5, punto e, infatti, indica che per favorire “l’affermazione di una cultura organizzativa orientata al rispetto della parità e al superamento degli stereotipi, anche nell’ottica di una seria azione di prevenzione di qualsiasi forma di discriminazione o violenza e di generale miglioramento dei servizi resi ai cittadini e alle imprese”, le Amministrazioni Pubbliche devono “utilizzare in tutti i documenti di lavoro (relazioni circolari, decreti regolamenti, ecc.) termini non discriminatori come, ad esempio, usare il più possibile sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi (ad es. persone anziché uomini)”.

La direttiva, quindi, prevede un nuovo e specifico adempimento in capo alle Amministrazioni, allo scopo di mettere in pratica quanto già previsto dalla precedente direttiva del 4 marzo 2011, la quale prevede tra gli obiettivi del CUG, specificati al paragrafo 3, quello di garantire l’assenza di qualsiasi forma di discriminazione.

Alcune Amministrazioni già si stanno muovendo in questa direzione: è il caso del Comune di Velletri, che ha adottato tramite delibera di Giunta specifiche linee guida per l'uso non discriminatorio del linguaggio. Un dibattito sul tema si sta sviluppando anche in seno alla Provincia Autonoma di Trento.

Anche il Comune di Milano si sta muovendo nella medesima direzione, e con la delibera di Giunta numero 1312 del 2 agosto ha approvato delle linee guida per l’adozione della parità di genere nei testi amministrativi e nella comunicazione istituzionale del Comune. In particolare, il Comune di Milano prende atto di quanto nel linguaggio siano sedimentate abitudini linguistiche androcentriche, radicate entro la struttura grammaticale, e allo stesso tempo indica il linguaggio quale spazio sociale nel quale è necessario incidere per modificare la rappresentazione stereotipata delle donne che domina nell’opinione pubblica e che non ne rispecchia il progresso in professioni, ruoli e istituzioni tradizionalmente appannaggio di figure maschili. Scopo delle linee guida è infatti di rendere manifesti i ruoli e le funzioni delle donne negli ambiti in cui si dispiegano, evitando che la presenza femminile venga rimossa o celata a causa di un uso non consapevole della lingua.

A questo scopo, nella delibera il Comune prevede l’adeguamento di tutta la modulistica amministrativa e i provvedimenti in modo da mettere in evidenza entrambi i generi, nonché la comunicazione sui siti istituzionali (consentendo l’esaurimento del materiale già stampato) e l’inserimento nei piani di formazione l’uso del linguaggio di genere nel rispetto della lingua italiana. Questo, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio comunale.

Si tratta di un tema non banale, in cui si intrecciano teoria e pratica: occorre infatti tenere presente sia i requisiti di chiarezza e semplicità che devono caratterizzare il linguaggio delle Amministrazioni, sia l’evoluzione della società e della cultura che il linguaggio può e deve rispecchiare.

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