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2. Dimensioni del fenomeno: il problema della quantificazione
La difficoltà di un’esatta quantificazione del numero delle assistenti familiari operanti in Italia dipende da due ordini di fattori: il primo legato all’ampia fascia di irregolarità che contraddistingue questo settore, il secondo alla natura stessa delle informazioni che i dati sono in grado di registrare. Non esistendo fino a poco fa una formula contrattuale specifica per le assistenti familiari, i dati disponibili incorporano il loro numero nella famiglia dei lavoratori domestici, rendendo pressoché impossibile la distinzione delle due prestazioni, se non tramite stime di massima.
I dati INPS mostrano ad esempio come dal 1998 al 2003 la componente dei lavoratori inseriti nel settore del lavoro domestico sia raddoppiata e gli stranieri registrati nel 2003 rappresentano ormai oltre i due terzi del totale: il 54% dei lavoratori domestici stranieri viene dal centro e dall’est Europa, il 15% dall’America, mentre l’8,6% è rappresentato dai lavoratori africani.
Guardando alla serie storica dei dati, si può osservare l’incremento sostanziale di presenze tra il 2001 e il 2002, come effetto del procedimento di regolarizzazione previsto proprio per i lavoratori domestici e della cura disposta dal Dl. 189/02. Delle 705.404 domande di regolarizzazione presentate nel corso del 2003, 694.224 sono state dichiarate ammissibili e 634.728 lavoratori sono stati a tutti gli effetti regolarizzati. Le domande di sanatoria per colf e badanti ammonterebbero a 341.121, quasi la metà del totale. “Assumendo di applicare a questa sottocategoria di lavoratori lo stesso tasso d’incidenza delle posizioni effettivamente regolarizzate sul totale delle domande presentate, pari all’89,9%, si arriva a quantificare in 306.943 le colf e badanti ad oggi in possesso di regolare permesso di soggiorno, contratto di lavoro dipendente e apertura della posizione fiscale e previdenziale, corrispondente a circa 5 aiutanti domiciliari ogni 1000 abitanti” (Mesini, 2006).
Come si è già accennato, per completare il quadro quantitativo, è necessario far riferimento a stime: nel periodo precedente la sanatoria, una ricerca della Fondazione Andolfi aveva stimato nel 43% la percentuale di occupazione straniera irregolare nel settore dei servizi; un’indagine Censis del 2002 aveva stimato addirittura il 77%. L’Irs sulla base dei dati e delle informazioni qualitative raccolte nella survey sul lavoro di cura in Lombardia, ha stimato che nel 2006 le assistenti familiari straniere (regolari e non) attive in Italia ammonterebbero a circa 693.00 unità, pari al 6,1 ogni 100 persone ultra 65enni (Mesini, Pasquinelli, Rusmini, 2006).
3. Il problema del mercato sommerso
Il mercato di cura privato in Italia è contraddistinto da un alto tasso di informalità. L’insufficienza del servizio pubblico a ricoprire la molteplicità di bisogni che l’assistenza ad un anziano richiede, ha favorito la crescita dell’organizzazione “self making”, creata su misura, attiva 24 ore al giorno e con prezzi non equiparabili alle tariffe dell’assistenza regolare. Il ricorso al lavoro nero diviene in queste condizioni l’alternativa più facile e più economica che la famiglia ha a disposizione. La posizione irregolare - in dipendenze delle scelte di politica migratoria - di chi offre prestazioni su questo mercato è un fattore di resistenza ulteriore alla possibilità d’emersione.
Oltre alle situazioni di lavoro sommerso, nella dialettica regolarità-irregolarità, si è molto spesso alla presenza di situazioni formalmente inquadrabili in un regime di regolarità, perché sottoposte al requisito minimo di un versamento contributivo all’Inps, ma caratterizzate da alti tassi di evasione: “versamenti previdenziali per un numero di ore inferiori a quelle realmente lavorate, monetizzazione delle ferie, restrizione dei permessi settimanali e dei giorni di riposo, evasione della tredicesima e del Tfr.” “E’ anche questa una forma di lavoro grigio, in quanto il contratto sottoscritto regolamenta una condizione occupazionale diversa da quella in essere e non ha modificato, se non in maniera parziale, il regime di lavoro sommerso […] che precedeva la regolarizzazione […] paga, orari e altre condizioni contrattuali non sono mutate con l’ottenimento del permesso e l’iscrizione all’Inps” (Mingozzi, 2005).
Il mercato privato della cura appare dunque contraddistinto da quella formula di “nero parziale” che lo apparenta ad altri segmenti del mercato del lavoro a forte presenza di dipendenti immigrati. Le scelte di nero parziale sono spesso “concordate” con le lavoratrici o trovano un’ampia convergenza di interessi: se per i datori di lavoro il costo della regolarizzazione sale al crescere delle ore di lavoro dichiarate in termini di contributi, tredicesima, accantonamenti (il costo della regolarizzazione di un’assistente convivente costituirebbe un aumento medio del 30% a carico dell’assistente familiare), per il lavoratore, la convenienza a dichiarare il minimo contrattuale risiede nella possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e incamerare nel contempo una parte del salario non decurtato degli oneri aggiuntivi.
Per la natura stessa delle prestazioni, ad elevato contenuto relazionale, e per come esse sono state concepite tradizionalmente all’interno delle ripartizioni degli obblighi del lavoro nei contesti familiari, il lavoro domestico e di cura tende dunque a sfuggire alla regolazione pubblica. Questo segmento di mercato, sconta infatti storicamente un deficit di definizione giuridica e un alto tasso di arbitrio e “familizzazione”, anche sulla scorta di una secolare macchina di rappresentazione naturalizzata dei ruoli femminili e di svalorizzazione sistematica del lavoro di cura di cose e persone, svolto dalle donne all’interno della casa.
4. Mansioni e orari
Intorno alla definizione del set di mansioni che l’assistente familiare è chiamata a svolgere si gioca anche la partita della determinazione di una figura professionale specifica a cui vengono delegate una serie di prestazioni di tipo assistenziale ed eventualmente parasanitario e sempre meno connesse all’ambito del lavoro domestico.
Emerge infatti un terreno di lavoro assai variegato in cui l’assistente svolge una pluralità di compiti, che vanno da mansioni domestiche a prestazioni di carattere prevalentemente sociale fino a funzioni di carattere sanitario e infermieristico. La priorità è data all’assistenza nei riguardi della persona da accudire, ma le attività complementari svolte dalla badante sono direttamente riconducibili al benessere dell’intera famiglia. Capita così che la badante svolga commissioni, si occupi della spesa quotidiana, si prenda carico della pulizia degli ambienti domestici ed eserciti compiti che richiedono una disponibilità che va ben oltre i termini definiti dal contratto.
Per quanto riguarda l’orario lavorativo, ad esempio, le ricerche svolte sull’argomento evidenziano come l’attività delle assistenti familiari si attesti nella maggior parte dei casi tra le 12 e le 15 ore giornaliere e vadano ben oltre delle 54 ore settimanali previste dal CCNL. Per la badante è dunque difficile separare le ore di lavoro con quelle di non lavoro, specie se in regime di coresidenza..
5. Regimi contrattuali, salariali, contributivi
Da parecchi anni si sta dibattendo circa le problematiche legate alla controversa posizione contrattuale che lega la badante alla persona di cui si prende cura: nonostante il servizio offerto vada spesso oltre il mero accudimento della persona anziana e la cura dell’abitazione, il lavoro di badante è stato fino al marzo di quest’anno annoverato nella categoria contrattuale del lavoro domestico. Solo con il nuovo CCNL, entrato in vigore il 1° marzo 2007, agli addetti ai servizi familiari viene riconosciuto uno specifico inquadramento contrattuale.
Per quanto concerne i minimi retributivi si registra un considerevole aumento rispetto al precedente contratto: se per un lavoratore di secondo livello era prevista una retribuzione minima di 563 euro mensili, il nuovo contratto prevede un minimo di 850 euro per personale non formato e di 1.050 euro per il personale qualificato contro le 777,73 del precedente contratto. Altre novità riguardano la riduzione dell’orario per il regime di convivenza a 30 ore settimanali e l’introduzione del Job Sharing. Oltre alle indennità per il vitto e l’alloggio, è diritto del lavoratore anche la tredicesima mensilità, le ferie, il riposo settimanale, la tutela della malattia, dell’infortunio e della gravidanza.
Non è raro, però, che i datori di lavoro non rispettino in modo integrale la contrattazione, per sviare ad ulteriori oneri e per la paura di perdere flessibilità nelle prestazioni assistenziali: un contratto di lavoro regolare obbliga il datore di lavoro a rispettare limiti di orario, ferie, riposi, permessi, ecc., e ad adempiere gli obblighi burocratici e fiscali che in taluni casi possono far diventare il livello di spesa insostenibile da parte di una famiglia a reddito medio: il differenziale tra costo del lavoro regolare e irregolare, appare infatti rilevante (Gori, Da Roit, 2001) e lo diventa ancor più spostandosi dall’applicazione del contratto dei lavoratori domestici ad altre forme contrattuali.
6. I nodi della relazione badante-famiglia-anziano
Una volta istaurato il rapporto contrattuale, prende avvio la complessa relazione che assistente familiare, famiglia ed anziano.
Le relazioni in questo ambito, hanno per la maggior parte una struttura triangolare, ai cui vertici stanno l’anziano assistito, l’assistente familiare ed il responsabile della cura, nella maggior parte dei casi un’altra donna della famiglia. L’emancipazione delle caregiver dall’incombenza delle attività produttive non retribuite è resa possibile da questa delega alle lavoratrici immigrate dei carichi del lavoro domestico e di cura: “le datrici di lavoro si specializzano in ruoli di coordinamento, regia, relazioni con l’ambiente esterno, oltre a tenere per sé, nei limiti del possibile, le attività più dense di connotazioni affettive e dimensioni gratificanti” (Ambrosini, 2005). C’è chi ha letto in questa relazione tra donne “la contraddizione tra l’emancipazione delle donne della classe media dei paesi affluenti e la loro sempre maggiore presenza nella sfera pubblica, grazie alla crescita della partecipazione alla popolazione attiva e il modo in cui essa avviene: a spese di una forte segregazione delle donne immigrate nella sfera privata” (Colombo, 2003).
Per quanto riguarda il polo dell’assistente familiare, il lavoro di cura tende a generare per sua stessa natura un attaccamento alla persona di cui ci si prende cura, con coinvolgimenti emotivi alti e una sovrapposizione tra relazioni personali e relazioni di lavoro. Paola Toniolo Piva afferma che la gestione dei rapporti nel triangolo “anziano-familiari-assistente salariato” esige un’accorta gestione emotiva, basata sulla solidarietà, ma anche sulla chiarezza ciascuno del proprio posto. Spesso, infatti, le famiglie (datori di lavoro) dimenticano che l’assistente familiare è anzitutto una lavoratrice con diritti e doveri e, a sua volta, può essere moglie, madre, figlia. La figura triangolare descritta tende perciò ad aprirsi ad ulteriori dimensioni di relazione affettiva a cui la lavoratrice è legata, con quello che comporta in termini di dolore per la separazione fisica dai propri affetti e di strategie di mantenimento di catene di cura transnazionali, che complicano il quadro dei sentimenti in gioco nelle relazioni di un lavoro che chiede una robusta mobilitazione delle proprie competenze emotive e relazionali.
7. L’integrazione delle assistenti familiari nella rete dei servizi territoriali
Il futuro delle politiche pubbliche in Europa, sembra strutturalmente correlato a quel processo che, sotto l’etichetta “territorializzazione”, segna la centralità del livello locale per la realizzazione dell’integrazione tra politiche. Gli incentivi al coordinamento, sia esso di natura verticale od orizzontale, tendono dunque a definire effetti organizzativi la cui regia non può più calare dall’alto per via autoritativa, quanto piuttosto favorire le connettività di sistema, cogliere gli strumenti in grado di favorire l’integrazione di competenze, in grado di mobilitare e coordinare i diversi attori coinvolti, sostenere e vincolarne le interazioni a regole ed obiettivi condivisi, sviluppare i potenziali d’interazione cooperativa presenti o attivabili nei contesti di azione delle politiche, trattare materie e problemi ad alta interdipendenza secondo approcci multisettoriali, attivare e combinare risorse pubbliche e private: in termini sintetici, fare sistema (Bifulco, De Leonardis, 2006).
Come ha ben evidenziato Mara Tognetti Bordogna (Tognetti Bordogna, 2006) si evidenzia dunque come la presenza delle badanti sul mercato abbia in qualche modo contribuito a trasformare alcuni aspetti del sistema locale di welfare. Tra le conseguenze più evidenti si annoverano:
- la riduzione delle prestazioni di assistenza domiciliare di tipo pubblico, ad eccezione di quei casi in cui lo stato di salute dell’anziano richieda anche prestazioni di natura infermieristica o sanitaria;
- la riduzione delle ammissioni nelle RSA per anziani;
- l’abbattimento delle liste di attesa nelle RSA;
- l’aumento dei ricoveri nelle case protette di anziani molto gravi;
- la modificazione della relazione con il sistema dei servizi.
La presenza delle badanti modifica anche la qualità della cura dell’anziano, cambia le dinamiche delle politiche socio assistenziali e il loro disegno strategico, rende dinamico il mercato della cura e riproduce una relazione esclusiva, spesso isolante dal contesto e dai servizi.
Il riconoscimento della componente assistenziale delle prestazioni di lavoro delle assistenti familiari immigrate, ingaggiate “in privato” dalle famiglie, rinvia alla necessità che il ruolo delle lavoratrici immigrate sia sottratto a quella regolazione privatistica che sembra andare nella direzione del risparmio sui costi e della riduzione, se non alla rinuncia, di livelli di qualità di assistenza e di lavoro.
Gli eccessi di asimmetria in quelle prestazioni che dovrebbero rientrare nella sfera dei diritti sociali esigibili da parte dei cittadini e la dipendenza di quelle da livelli fluttuanti e non governati di erogazione, chiede che il ruolo delle assistenti familiari sia integrato nella rete dei servizi territoriali, con il sostegno dei Comuni e delle Asl.
Le sperimentazioni di integrazione delle prestazioni private d’assistenza e accudimento dei soggetti non autosufficienti nell’offerta di servizi di protezione territoriale, richiede uno schema tripartito di interventi, in considerazione di quella triangolazione di relazioni che strutturano il lavoro di cura:
- tutela della qualità dell’assistenza per l’anziano inserendo il modulo privato nella rete dei servizi regolati dal Distretto o dalla zona sociale;
- sostegno ai familiari o ai responsabili della cura con servizi di sollievo e semplificazione delle incombenze burocratiche e di spesa per i datori di lavoro;
- tutela della salute e della professionalità della lavoratrice, aprendo prospettive verso il lavoro professionale (Rossi, 2006).
Le esperienze messe in atto a livello territoriale da Comuni, Asl e Terzo Settore, anche se di recente applicazione e di portata ancora limitata rispetto al numero di famiglie e assistenti familiari coinvolte, costituiscono un primo framework entro il quale maturare strategie di fronteggiamento alle problematiche evidenziate nei paragrafi precedenti.
Nelle prossimi paragrafi viene proposta una disamina delle politiche di intervento per l’emersione e la regolazione dell’assistenza privata a pagamento, realizzati con lo scopo di includere nella rete dei servizi territoriali la nuova unità organizzativa composta da “anziano, caregiver familiare e badante”. Dialogando con le famiglie e con tutti i soggetti coinvolti, questi servizi intendono fornire soprattutto orientamenti e strategie, si rendono flessibili, cercando di non sovrapporsi e di svolgere funzioni lasciate scoperte dal nucleo familiare e dalle reti sociali (Lazzarini, 2004).
7.1 Politiche di sostegno alla domanda
Le politiche che intervengono sul fronte della domanda, secondo la classificazione proposta da Da Roit (in Gori, 2001) sono finalizzate:
a) al sostegno dell’espressione della domanda di care privato;
b) allo spostamento della domanda dal mercato del lavoro informale-irregolare a quello regolare.
Le politiche intervengono a calmierare gli squilibri originati dalle variabili di prezzo del servizio, reddito dell’acquirente e possibili asimmetrie informative e contemporaneamente ad incanalare la domanda d’acquisto di prestazioni nell’alveo del mercato regolare.
7.2 Agevolazioni fiscali
Una prima famiglia di politiche dirette all’emersione del lavoro sommerso riguardano le politiche di agevolazione fiscale: l’introduzione di misure di detrazione o deduzione fiscale per l’acquisto di determinati servizi sul mercato regolare, contribuirebbe a ridurre o eliminare il vantaggio economico derivante dal ricorso al mercato sommerso (Gori, Da Roit, 2001).
Nello specifico, le agevolazioni fiscali sono misure finalizzate principalmente alla riduzione dei costi sostenuti per l’assistenza privata a pagamento: la persona che si rivolge al mercato regolare, acquistando prestazioni da un’assistente familiare ha la possibilità di vedere ridotte le imposte annue dichiarando i costi sostenuti per l’acquisto di tali prestazioni (Gori, Da Roit, 2001).
L’entità degli effetti d’agevolazione in sede di dichiarazione dei redditi, deve chiaramente competere con il risparmio che l’utente ottiene dal ricorso al mercato irregolare. Le riduzioni fiscali che risultano più efficaci e più eque rispetto alle situazioni reddituali dei contribuenti, risultano essere le agevolazioni che prevedono una detrazione d’imposta rispetto alla deduzione dei costi dal reddito imponibile, che avvantaggerebbe significativamente i redditi più alti, sottoposti ad aliquote marginali superiori.
In Italia le legge 342/2000 consente di dedurre i contributi previdenziali versati per gli “addetti ai servizi domestici” e per “assistenza personale o famigliare”, fino all’importo di 1.549,37 euro. Un’altra più recente deduzione introdotta dalla finanziari 2005 è la “deduzione per addetti all’assistenza personale di soggetti non autosufficienti” per un limite massimo di 1.820 euro. La deduzione riguarda tutte le famiglie che abbiano assunto una “badante” per l’assistenza di familiari non autosufficienti, in possesso di certificazione medica della persona da assistere.
Un altro tema all’ordine del giorno è inoltre rappresentato dalla riduzione degli oneri contributivi a carico del datore di lavoro, nell’applicazione del nuovo CCNL: il cuneo fiscale a carico della famiglia è costituito da una cifra che può raggiungere i 200 euro mensili e in una logica di “decontribuzione selettiva” è oggi urgente porsi l’obiettivo di ridurre il peso di questi oneri. Le misure di sgravio dovrebbero agire sul prezzo della prestazione lasciando invece inalterati gli aspetti organizzativi e gli oneri gestionali.
7.3 Semplificazione degli oneri amministrativi
Altro valido sostegno verrebbe offerto dalla semplificazione degli oneri amministrativi e gestionali di chi si rivolge al mercato regolare. Le difficoltà di reclutamento di personale domestico e la gestione delle incombenze burocratiche legate alla regolarizzazione del personale esistente, rappresentano in molti casi un deterrente verso l’emersione del sommerso, indicando la via del mercato nero come una valida scorciatoia.
In Italia, le procedure per l’assunzione del personale domestico, si riducono ad una comunicazione di assunzione all’Inps che calcola gli oneri sociali dovuti dal lavoratore e dal datore. E’ però possibile ipotizzare che non esistano adeguati sistemi di informazione e che manchi una consapevolezza sulle procedure, insomma che un’eccessiva asimmetria informativa porti a desistere dalla formalizzazione dei contratti sulla base della presupposizione di dover affrontare percorsi complessi.
In tal senso, svolgerebbero un ruolo importante la creazione di sportelli informativi o di servizi di counselling in grado di sostenere la famiglia acquirente di servizi nel pagamento degli stipendi, nel versamento dei contributi previdenziali e assicurativi e nella semplificazione dell’amministrazione del personale (Costa, 2001).
7.4 Voucher e Assegni di cura
Gli Assegni di cura sono contributi economici erogati dai Comuni direttamente ai familiari, o agli stessi anziani, per finanziare l’assistenza di questi ultimi. I voucher sono invece dei buoni finalizzati all’acquisto di prestazioni e servizi presso soggetti pubblici e privati, accreditati dall’ente pubblico. La principale caratteristica che differenzia l’esperienza dei voucher da quella degli assegni di cura è relativa proprio alle modalità di spesa: mentre quest’ultimo può essere utilizzato con estrema discrezionalità dall’utente, il voucher può essere utilizzato esclusivamente per l’acquisto di determinati pacchetti di prestazioni presso provider riconosciuti e accreditati. Per queste ragioni, i voucher vengono considerati una discreta misura per promuovere il lavoro regolare nel mercato dell’assistenza, grazie al fatto che vincolano i soggetti ad acquistare servizi presso enti riconosciuti o ad assumere aiutanti domiciliari iscritti in un Albo, il cui lavoro di cura sia esplicitamente inserito in un progetto personalizzato, sotto la responsabilità dell’ente pubblico.
Le stesse procedure di governo potrebbero essere estese all’erogazione degli assegni di cura e alle altre erogazioni monetarie (indennità d’accompagnamento) ancora non vincolate a protocolli o contratti d’assistenza e la cui logica di fondo non contempla il presupposto di incentivare l’emersione del sommerso. L’ampia discrezionalità di utilizzo concessa degli assegni di cura ha infatti contribuito in molti casi all’acquisto di prestazioni sul mercato irregolare: in questi casi la somma versata alle famiglie viene impiegata per integrare la retribuzione della badante assunta in modo irregolare.
7.5 Matching domanda- offerta
L’incontro tra domanda e offerta viene in genere esplicitata attraverso la creazione di sportelli sul territorio. Destinatari del servizio sono da un lato le donne straniere interessate a prestare la propria opera come assistenti familiari, dall’altro le famiglie stesse, che hanno necessità di disporre di assistenza personalizzata per i propri congiunti in difficoltà.
Alle assistenti familiari vengono offerti servizi di accoglienza ed ascolto del proprio bisogno di inserimento lavorativo, di informazione sulle modalità di accesso al lavoro e sull’avvio del rapporto professionale, colloqui individuali di mediazione interculturale, percorsi di analisi delle competenze professionali, partecipazione a corsi di formazione, incontri di orientamento di gruppo.
Alle famiglie, gli sportelli tendono invece ad offrire accoglienza ed ascolto del proprio bisogno, mirano a coinvolgere i servizi sociali comunali per le eventuali problematiche di tipo sociale, assistenziale, abitativo, garantiscono informazione e consulenza sulle pratiche amministrative per l’attivazione del rapporto di lavoro, favoriscono l’incontro con le assistenti familiari, garantendo supporto e consulenza per l’avvio delle pratiche contrattuali, accompagnando l’inserimento dell’assistente presso l’anziano.
Spesso l’implementazione di questo tipo di sportelli viene supportata da altre misure, quali la creazione di registri di badanti e la promozione di attività formative dirette a migliorare le capacità delle assistenti familiari. Le strutture coinvolte possono dunque essere di tre tipi: gli sportelli sociali comunali; i servizi per l’impiego provinciali e i patronati sindacali (riconosciuti dalla legge 152/201).
7.6 Pooling di risorse
Alcune politiche utili alla regolarizzazione del lavoro domestico insistono sul miglioramento delle precarie condizioni nelle quali versano i lavoratori irregolari e puntano alla nascita di soggetti cooperativi in grado di organizzare i prestatori d’opera individuali.
E’ proprio l’estrema frammentazione dell’offerta, costituita da lavoratori singoli che si affacciano isolatamente sul mercato, a dar vita a molti dei problemi descritti in precedenza: la diversa strutturazione del lavoro in forma di agenzia potrebbe migliorare l’operatività del singolo, garantendo formazione professionale qualificata, contratti regolari e riconosciuti, possibilità di ferie e permessi, possibilità di contrattazione del singolo, con evidenti benefici anche per la famiglia acquirente. L’organizzazione in agenzia permetterebbe inoltre di sollevare la famiglia dagli oneri e dai rischi insiti dalla contrattazione privatistica tra famiglia e lavoratore. Le famiglie avrebbero garantito un servizio continuativo anche in caso di malattia o assenza del carer (attivando un meccanismo di «rotazione» in caso di mancanza di qualche operatore) e non avrebbero difficoltà a trovare altre risorse nel caso di un interruzione del servizio. Superare le difficoltà comportate dal rapporto diretto tra lavoratore e anziano attraverso un «pooling» di risorse potrebbe altresì migliorare la situazione economica e sociale dell’operatore, creando le condizioni per una maggiore attrattività del settore (Costa, 2001).
7.7 Formazione delle lavoratrici
Spesso il lavoro di assistente familiare viene sottovalutato dai più, come se l’agire in un luogo informale rendesse questa attività meno professionale: sembra normale credere che tutte le competenze necessarie al corretto svolgimento di questa attività, siano capacità che si acquisiscano facilmente, con la pratica, o che si possiedono naturalmente, tanto più quando a svolgere questo mestiere è una donna, da sempre riferimento nella cura della casa e della famiglia (Rossi, 2004).
In realtà, per rendere il servizio offerto un servizio di qualità, sono necessarie competenze specifiche, che includono nozioni di tipo infermieristico di base, nonché competenze connesse alla sfera umana che permettano di gestire complesse situazioni psicologiche ed emozionali.
Molte delle proposte formative promosse dall’ente pubblico o da organizzazioni del terzo settore, tendono a fornire questo tipo di competenze, provvedendo una risposta immediata al fabbisogno formativo dell’assistente familiare. I corsi proposti condividono nella maggior parte dei casi alcune caratteristiche di fondo: sono generalmente di breve durata e distribuiti in particolari momenti della giornata (ad esempio serali), per permettere alla badante di esercitare nel contempo la propria professione, mettono alla base la conoscenza della lingua e della cultura italiana, nonché i compiti di cura della persona e dell’ambiente domestico.
Tra le politiche considerate, la formazione erogata alle assistenti familiari risulta essere la misura che presenta maggiori casi di implementazione a livello territoriale per via della sua economicità, del fatto che non necessita di complessi meccanismi di governo e gestione e, soprattutto, perché costituisce la base per la strutturazione di ulteriori servizi, quali la costituzione di albi e registri (la cui iscrizione è spesso subordinata alla partecipazione a corsi formativi) o le attività di matching tra domanda e offerta.
7.8 Registri di badanti
Oltre all’attestato di partecipazione, si stanno sviluppando sul territorio soluzioni di accreditamento dei lavoratori che hanno maturato crediti formativi attraverso l’istituzione di appositi “albi”, ovvero di liste di erogatori accreditati che il soggetto pubblico mette a disposizione degli utenti, nel contesto di sportelli informativi, servizi telefonici o data base informatizzati dedicati all’incontro domanda-offerta.
Questi registri sono in genere composti dai nominativi di coloro che hanno preso parte a corsi di formazione per assistenti domiciliari. Per quanto riguarda la gestione di questo servizio, vi sono due modalità organizzative differenti: nella prima, il Comune non entra in nessun modo nel rapporto lavorativo tra famiglia e assistente domiciliare, rapporto che si configura di natura giuridica strettamente privatistica, garantendo esclusivamente i requisiti necessari all’iscrizione all’albo (ad esempio partecipazione ad un corso di formazione, certificazione della figura professionale, superamento di un esame, criteri curriculari, ecc.), nella seconda ipotesi, il Comune provvede ad accompagnare la famiglia nel disbrigo delle pratiche di assunzione, nella regolarizzazione del rapporto professionale e, più di rado, nelle successive attività di tutoring e monitoraggio.
L’istituzione di albi presenta il doppio esito di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e di disincentivare il ricorso al mercato sommerso, predisponendo liste di badanti con competenze certificate.
7.9 Tutoring
Gli oneri e le difficoltà che emergono per i datori di lavoro e le responsabilità che ne derivano in termini di rischi, hanno portato in via sperimentale alcuni servizi territoriali ad attrezzarsi con servizi di garanzia in grado di sostenere in prima istanza le contigenze di crisi e bisogni urgenti, in seconda istanza, di promuovere un percorso di monitoraggio e supporto continuo.
In questi casi gli operatori domiciliari e socio sanitari attivano un servizio di garanzia su richiesta degli interessati: “l’assistente familiare può contare su una guida nei primi giorni di inserimento nella casa dell’anziano, e anche in seguito, potrà appoggiarsi a lui nelle emergenze, partecipare a gruppi di scambio d’esperienza con altre lavoratrici.” (Toniolo Piva, 2002).
Il tutor domiciliare si mette a disposizione sia dei responsabili della cura sia delle lavoratrici, per far fronte alle fasi più delicate e critiche del ciclo di lavoro e cura (inserimento in casa dell’anziano, aggravamenti dello stato di salute dell’assistito, emergenze, ricoveri o dimissioni ospedaliere, malattia e periodi d’assenza dell’assistente…). “Le principali funzioni del servizio di affiancamento sono: raccogliere le richieste dell’assistente e dell’anziano, verificare le attività svolte, aiutare la lavoratrice a rafforzare le competenze, analizzare le condizioni abitative dell’anziano e verificare il bisogno di ausili, verificare le condizioni igienico sanitarie ed abitative in cui viene alloggiata la lavoratrice, assistere la lavoratrice nell’organizzazione delle attività e nell’assolvimento dei compiti più delicati, sostenere la lavoratrice per prevenire il burnt out ed intervenire in caso di difficoltà relazionali” (Rossi, 2006). Si tratta quindi di un servizio di affiancamento e garanzia che dovrebbe divenire strutturalmente complementare e aggiuntivo alla prestazioni acquistate sul mercato privato.
7.10 Servizi di sollievo
Nel contesto di una prestazione ad alta intensità di lavoro, con cicli di operatività giornaliera che possono superare le 12 ore e prestazioni che si possono spingere anche in orari notturni, i servizi territoriali hanno attivato in molte realtà forme di sostegno miranti ad offrire «sollievo» sia alla lavoratrice, sia alla famiglia direttamente impegnata nella cura di una persona fragile. Queste misure sono in genere erogate contestualmente ad altri interventi di politica sociale e ne completano gli affetti che ricadono a livello plurimo sulla famiglia. Esempi di tali politiche sono i Centri Diurni Integrati, i Ricoveri temporanei, i Gruppi di auto-mutuo aiuto, il sostegno psicologico.
Il ricorso temporaneo al CDI, ad esempio, potrebbe rispondere contemporaneamente al bisogno di domiciliarità dell’anziano, che continuerebbe ad essere seguito da professionisti che intervengono sul piano sanitario, riabilitativo e animativi, e a quello di sollievo di badante e familiari. Altri interventi di sollievo sono i ricoveri temporanei e i periodi di soggiorno. Questo genere di misure, dette di “ricostruzione” (Taccani, 2001) hanno il vantaggio di non scompaginare il delicato equilibrio anziano-familiare-caregiver e, contemporaneamente, di offrire a questi ultimi periodi di ricostituzione e sollievo. Dello stesso genere sono i cosiddetti interventi di home relief service, ovvero una pluralità di strumenti atti a sostituire l’assistente familiare nella dimora stessa dell’anziano. Tali interventi comprendono forme di compagnia offerta da volontari e limitate forme di controllo e aiuto della persona non autosufficiente. Altre misure sono quelle inerenti all’auto-mutuo aiuto (self-help): tali gruppi sono composti da piccole strutture a base volontaria, finalizzate al mutuo aiuto e al raggiungimento di scopi specifici. Nati per soddisfare l’esigenza di assistenza reciproca verso bisogni comuni (alcolismo, affido familiare, malattie croniche, handicap, tossicodipendenza) si stanno sviluppando esperienze di aiuto mutualistico anche nell’area dell’assistenza alla non autosufficienza, con la costituzione di gruppi di caregiver e il formarsi di gruppi di familiari con anziani istituzionalizzati (Alter e Baltzan, 1993; Helphand et al., 1981).
8. Conclusioni: ragionare per reti
L’attività di cura all’anziano che l’assistente familiare svolge all’interno del nucleo familiare va ad inserirsi in una complessa rete di relazioni assistenziali preesistente, un mix di servizi pubblici, privati e familiari dal quale dipende il carattere stesso dell’assistenza.
Ragionare per reti significa considerare tutte le realtà che a vario titolo gravitano attorno alla persona non autosufficiente, a partire dalla possibile presenza di un nucleo familiare alle spalle dell’anziano bisognoso di cure, sino a raggiungere il territorio con le sue reti informali di assistenza volontaristica, rionale o amicale, sino a spingersi, verso la platea dei servizi pubblici e privati disponibili. E’ questo un lavoro di back service che permette di mettere a sistema una varietà di aiuti che altrimenti rischiano di vanificarsi a vicenda o di sviluppare grande disordine attorno all’assistito (Piva, 1998).
Spesso però, l’esistenza di questo insieme di relazioni non è direttamente indagata dai decisori politici con l’inevitabile conseguenza che la rete familiare, amicale e sociale si dissolve di fronte agli occhi dell’osservatore nella percezione di un vuoto di legami significativi e nella costruzione dello stereotipo comune dell’anziano solo. Questa miopia nei confronti della rete esterna alle mura domestiche può portare alla riduzione del concetto di domiciliarità al puro intervento di assistenza domiciliare, con il rischio di espellere, anche involontariamente, soggetti che sono una risorsa significativa per l’anziano che vive solo, ma che solo spesso non è (Taccani, 2001).
La necessità di coordinare l’operato dei diversi soggetti impegnati nell’assistenza si manifesta ad un duplice livello: da un alto in rapporto agli altri servizi esistenti (Sad, Adi, contributi economici, altri servizi domiciliari), dall’altro in relazione alla rete informale di assistenza preesistente all’entrata in servizio dell’assistente familiare.
Sul primo versante, l’attività della badante si sovrappone spesso con altri interventi presenti sul territorio ed erogati dall’ente pubblico quali l’ADI, il SAD, l’indennità di accompagnamento, i buoni erogati da alcune municipalità. Ciò che trasforma questo vasto panorama in una qualità potenziale è l’integrazione della rete dei servizi che, citando Piva, devono funzionare «a filiera» (Piva, 2002). Con questo termine si intende un insieme di servizi realizzati da organizzazioni diverse che si comportano come fossero segmenti o comparti di un’unica impresa generale.
Sul secondo versante, l’attività di cura svolta dalla badante si inserisce in una rete relazionale preesistente (composta non solo dall’anziano e dalla famiglia, ma anche, spesso, dalla rete di vicinato, da quella amicale, dal volontariato, ecc.), dalla quale non è possibile prescindere. La presenza continuativa di una badante, alla quale vengono integralmente attribuite le responsabilità di cura e assistenza, può nel lungo periodo ridurre l’attenzione innovativa, creativa e forse ancor più tradizionale, verso la soddisfazione dei bisogni che emergono all’interno del sistema familiare, riducendo la capacità di «auto-reperimento» di care. Sarebbe un errore sottovalutare questa capacità auto organizzativa dell’anziano e della sua famiglia: non considerare le residue capacità relazionali e auto-organizzative della rete di cura informale, può infatti comportare il rischio ulteriore di isolare la famiglia da contesto sociale di riferimento.
Risulta dunque opportuno che l’Ente pubblico promuova degli interventi globali che tengano conto delle diverse dimensioni della persona, superando il nodo dell’assistenzialismo e del custodialismo per privilegiare il territorio, non dimenticando il possibile desiderio di presenza nella dinamica sociale ancora presente nella persona non autosufficiente.
Mettere in rete le possibilità offerte, partendo dalla realtà territoriale, dovrebbe essere compito dell’ente locale, chiamato a definire, nell’ambito del Piano Sociale di zona, la rete complessiva dei servizi e degli interventi rivolti ai cittadini: attraverso un maggior coordinamento tra le realtà territoriali, i Comuni e le Asl possono promuovere un insieme di regole e procedure orientate all’adeguatezza dei bisogni, all’efficacia dei metodi e degli investimenti, all’uso ottimale delle risorse impiegate e alla sinergia con le risorse – anche informali – presenti sul territorio, orientando l’intero processo verso un «sistema di qualità».
9. Bibliografia
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