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“Ho un figlio con disabilità. Chi si prenderà cura di lui quando io non ci sarò più?”
Questa domanda, che apre tutte le considerazioni relative al “Dopo di Noi”, ha fino ad oggi ricevuto tante risposte diverse, evolutesi in base alle caratteristiche del contesto locale, spesso con il coinvolgimento degli Enti Locali e di Associazioni o Fondazioni che danno supporto e voce alle famiglie delle persone con disabilità, in una cornice frammentata dal punto di vista delle norme, degli interlocutori e dei percorsi di presa in carico. Le famiglie necessiterebbero di una presa in carico complessiva tramite la realizzazione di un progetto di vita personalizzato coerente con i bisogni e la storia della persona con disabilità; rispettoso del punto di vista dei suoi familiari; flessibile, in relazione all’evoluzione delle necessità e dei desideri della persona nel tempo; che tenga insieme i molteplici aspetti della vita quotidiana. Al momento, invece, in assenza di linee guida uniformi, il bisogno viene affrontato con strategie diverse caso per caso, che solo recentemente vedono una convergenza nata sul terreno. I concetti stessi di progetto di vita e presa in carico sono frutto di esperienze che, per rispondere a bisogni simili, si sono trovate, nel tempo, a sviluppare indipendentemente lo stesso approccio. Solo negli ultimi dieci anni si testimonia una maggior comunicazione tra organizzazioni, nella direzione della creazione di reti e di costruzione di un linguaggio comune ed uno scambio di buone pratiche.
Il dibattito sul progetto di vita di una persona con disabilità, sulla presa in carico da parte degli Enti Pubblici e sulle sue modalità di finanziamento ha visto solo recentemente un contributo del Legislatore nazionale: la legge 112/2016, in vigore dal 25 giugno u.s., infatti, introduce due innovazioni estremamente rilevanti.
In primo luogo, prevede esenzioni e agevolazioni per la costituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi speciali, ossia beni e/o diritti sottoposti a vincoli di destinazione in favore di persone con disabilità: è possibile, infatti, detrarre il 19% degli oneri relativi agli strumenti elencati fino a un massimo che è stato elevato a 750 €.
La seconda innovazione è l’istituzione di un Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, dotato di 90 milioni di euro per l’anno in corso, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni all’anno, dal 2018 in poi. I decreti attuativi sono attesi per fine anno e i finanziamenti saranno erogati per mezzo delle Regioni, che dovranno definirne criteri e modalità di assegnazione.
Tale Fondo potrà finanziare bandi per soluzioni abitative extrafamiliari temporanee, la realizzazione di interventi innovativi di residenzialità, programmi di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarità, progetti finalizzati allo sviluppo di competenze a favore dell’autonomia quotidiana delle persone con disabilità.
A livello locale è pertanto già possibile immaginare e progettare interventi a valere su questo Fondo, possibilmente nell’ottica di una coprogettazione, collaborazione e cofinanziamento tra famiglie, Enti Pubblici e Privato Sociale.
Si delineano, insomma, alcune piste di lavoro interessanti per l’implementazione di una strategia organica sul Dopo di Noi, tra cui è opportuno sicuramente citare l’identificazione e la diffusione dei modelli di intervento e delle pratiche migliori, anche nella direzione della sostenibilità economica degli interventi; l’attivazione delle reti di soggetti che si occupano di disabilità già esistenti sul territorio, attraverso la costituzione di tavoli di confronto; l’informazione delle famiglie sui diritti, sui servizi, sulle risorse, sui possibili strumenti di sostegno per la presa in carico delle persone con disabilità.
A livello italiano, vi è stata nel corso degli anni un’evoluzione che, a partire dai grandi istituti che hanno di fatto separato le persone con disabilità dal resto del tessuto sociale, passando per comunità più piccole che cercano di riprodurre un ambiente familiare ove gli educatori sostituiscono le figure genitoriali, ha portato all’idea dell’inclusione nel tessuto sociale stesso come strumento fondamentale per ideare e realizzare un progetto di vita per la persona con disabilità. Fino ad ora, tale evoluzione ha visto come protagoniste Associazioni, Fondazioni e Onlus. A livello pratico questa idea si concretizza in soluzioni abitative in cui le persone con disabilità sono pienamente inserite nel contesto urbano e sociale circostante, nell’ottica di un arricchimento reciproco e di mutuo aiuto di vicinato.
Su questo fronte, un’ipotesi da approfondire è quella del cohousing sociale (o social cohousing), ovvero la strutturazione di contesti abitativi che consentano un abitare autonomo e contemporaneamente assistito, che si configurino come un sistema di alloggio (privato) e servizi (zone comuni), che incoraggi la creazione di una comunità di abitanti collaborativi. Gli alloggi, dotati di soluzioni per l’abbattimento delle barriere, dovrebbero avere accesso ad uno spazio esterno e ad una serie di spazi comuni dove strutturare dei servizi di riabilitazione, sollievo, cura, intrattenimento, particolarmente indirizzati alle persone con disabilità e alle loro famiglie, con un occhio allo stimolo delle autonomie, pensando al Dopo di Noi, ma dove includere tante tipologie di famiglie. Lo scopo è quello di creare delle sinergie: la famiglia con un membro con disabilità usufruisce dei servizi comuni, accessibili a tutti (piscina, palestra, spazi per il gioco e spazi didattici) e del servizio offerto da personale specializzato per la cura e l’intrattenimento, ma offre delle proprie risorse e competenze agli altri membri del collettivo, ad esempio occupandosi dell’orto comune. Questo modello, che si pone come frontiera del Durante Noi in prospettiva del Dopo di Noi, riprende e attualizza i contesti abitativi diffusi in passato quali cascine, cortili, condomini orizzontali, abbinando l’attenzione sociale alla ristrutturazione di comparti immobiliari altrimenti riutilizzabili con difficoltà.
Progettare e gestire interventi di questo tipo richiede conoscenze e competenze specifiche e diversificate, nonché soft skill adatte a promuovere un dialogo costruttivo tra tutti gli attori coinvolti. Occorre una progettazione d’insieme che coinvolga coloro che occuperanno gli spazi; richiede uno studio attento dei servizi sociosanitari da collocare a disposizione del collettivo; impone soprattutto che il bisogno di cohousing sociale si espliciti in una domanda che possa essere intercettata e soddisfatta. A opera realizzata, occorre poi che la comunità costituitasi sia seguita e monitorata al fine di prevenire e risolvere eventuali conflitti e fluidificare le relazioni. Tutto ciò può essere realizzato tramite pratiche partecipative da calibrare a seconda delle caratteristiche specifiche della comunità in questione.Copyright © 2009-2016 Synergia srl - Tutti i diritti riservati
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