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La prevenzione. Un focus sulla situazione nazionale ed internazionale, tra modelli empirici e strategie di intervento

di Alessandro Pozzi

Nel recente passato, la prevenzione delle dipendenze è andata sempre più articolandosi come scienza multidisciplinare, che prevede l'integrazione di servizi e professionalità differenti, sulla base di un approccio 'science-based'. Tale approccio, fondato sull'evidenza empirica, è volto ad individuare pratiche preventive ed interventi efficaci, che possano garantire risultati sostenibili, misurabili e valutabili (Glynn, Leukefeld e Lundford, 1983, Van der Stel e Voordewing, 1998; CSAP 2001; Orlandini, Nardelli e Bottignolo, 2002).

La presenza di un modello teorico ben definito, diviene in quest'ottica un requisito fondamentale, in quanto permette di identificare le variabili significative presenti in una data situazione, di descrivere le loro relazioni, di valutare l'importanza dei fattori esterni, di condurre quindi ad una migliore comprensione della realtà del cambiamento e dei fattori che lo supportano.

Le tipologie di prevenzione cui oggi si fa generalmente riferimento sono quelle proposte dall'Institute of Medicine nel 1994. Tale classificazione, mutuata dalle categorie tassonomiche proposte da Caplan nel 1964, prevede la distinzione tra approcci universali, ovvero quegli interventi considerati desiderabili per l'intera popolazione, rivolti indistintamente a giovani e meno giovani; approcci selettivi, rivolti a sottogruppi di popolazione il cui rischio di sviluppare un qualsiasi disturbo risulta significativamente maggiore rispetto alla media, e approcci mirati, applicabili cioè a persone che sono state identificate come portatrici di chiari segni o sintomi prodromici, tali da doverli considerare vulnerabili e ad alto rischio*.

La prima famiglia di politiche, come detto, è volta a ridurre l'incidenza di un disturbo ancora in forma latente, agendo sulla popolazione 'sana' per prevenire l'insorgenza di nuovi casi clinici. L'esempio principale di questo tipo di politiche sono gli interventi formativi realizzati in ambito scolastico e le campagne massmediatiche di sensibilizzazione che si rivolgono alla totalità della popolazione. E' lo stesso Consiglio dell'Unione Europea ad invitare gli Stati membri (5099/1/02 Cordrogue 4 Rev 1) ad 'inserire programmi di promozione della salute e di prevenzione in materia di droga in tutte le scuole (…)' e a 'promuovere lo sviluppo di questi programmi adeguando, all'occorrenza, le risorse e le strutture organizzative delle amministrazioni interessate, per realizzare compiutamente l'obiettivo anzidetto'. Tuttavia, anche se la prevenzione nelle scuole è indicata come priorità politica nella maggior parte dei Paesi, nella realtà, solo alcuni Stati hanno attivato programmi operativi di prevenzione, mentre altri continuano ad utilizzare metodi e strumenti di cui non si è ancora dimostrata l'efficacia, come l'educazione affettiva (per esempio aumentare l'autostima), la diffusione di informazioni (sensibilizzazione) e la riflessione.
Le moderne strategie di prevenzione, prevedono infatti forme di monitoraggio sui risultati raggiunti, rendendo parimenti possibile una loro validazione e la misurazione empirica della loro efficacia. Gli interventi preventivi universali, che si sono dimostrati funzionali all'ottica preventiva sono, ad esempio, l'insegnamento interattivo (Tobler e Stratton, 1997), la correzione delle credenze normative (Flay, 2000), interventi che pongano l'accento sulle capacità sociali ed una limitata quantità di informazioni sulle sostanze (Hansen, 1992; Dusenbury e Falco, 1995; Paglia e Room, 1999; Tobler et alii, 2000; Tobler, 2001).

La prevenzione universale, al di fuori dell'ambiente scolastico, mira invece a raggiungere i giovani in tre modi principali: proponendo attività alternative nel tempo libero, attività ludiche o lavorative, creative o di avventura (Grecia, Spagna, Lettonia, Lussemburgo, Regno Unito), facendo leva sullo sport, per impegnare i giovani in norme, comportamenti ed atteggiamenti che proteggono l'individuo attraverso il gruppo (Germania, Italia e Finlandia), oppure facendo ricorso a tecniche di prima assistenza (Danimarca, Austria, Portogallo, Norvegia).

I modelli teorici su cui si basano i diversi approcci preventivi (di tipo universale), sono sostanzialmente quattro:
1. il modello delle Life Skills;
Tale modello assume che il consumo di sostanze da parte dell'adolescente, sia risultante di un mancato apprendimento di abilità di vita. In quest'ottica, la prevenzione passa attraverso la promozione e l'insegnamento di questo tipo di abilità sociali, ovvero attraverso lo sviluppo di competenze che permettono di fronteggiare le influenze sociali verso il consumo di alcol, fumo e altre droghe.
2. la teoria dell'apprendimento sociale;
Si basa sull'interrelazione esistente tra persona, ambiente e comportamento. Tale teoria attribuisce particolare importanza alle capacità dell'individuo di elaborare delle risposte agli stimoli che provengono dall'ambiente esterno, sulla base del gruppo sociale nel quale è inserito e dei comportamenti assunti dai membri del peer-group;
3. il modello evolutivo
Sottolinea invece l'esistenza di una possibile sequenza nell'uso delle diverse sostanze. In questa sequenza il consumo di alcolici come birra o vino, sarebbe precedente all'utilizzo del tabacco che, a sua volta precede quello della marijuana, che a sa volta precede quello di droghe più pesanti.
4. La teoria dei comportamenti a rischio
Secondo questa teoria, i comportamenti problematici non si presentano in forma isolata, ma esiste una disposizione costante a passare da una forma di comportamento problematica all'altra. I principali fattori che influenzano questa disposizione sono l'ambiente, la personalità ed il comportamento. Questi tre sistemi sono intercorrelati e definiscono la comparsa del comportamento problematico.

Ciò che questi quattro approcci condividono è la percezione dei 'fattori di rischio', che definiscono le condizioni grazie alle quali è più probabile che si sviluppi un certo comportamento disadattativo (Chavis, De Pietro e Martini, 1994). I fattori di rischio identificati dal NIDA (National Institute on Drug Abuse) nella Seconda Conferenza Nazionale sulla Prevenzione dell'Abuso di Sostanze (2001) definiscono le condizioni che favoriscono l'insorgere di atteggiamenti devianti, ponendo l'individuo in una situazione di rischio rispetto al consumo di sostanze psicoattive.

In particolare, i 'fattori di rischio' individuati, sono:
- Un ambiente familiare disordinato (in particolare familiari che abusano di sostanze o soffrono di disturbi mentali);
- Una genitorialità inefficace, in particolare nei confronti di bambini con difficoltà caratteriali e problematiche comportamentali;
- La mancanza del legame di attaccamento tra genitore e figlio;
- Una comportamento in classe inappropriato in quanto timido o aggressivo;
- Il fallimento scolastico;
- Le scarse abilità sociale;
- L'affiliazione con pari caratterizzati da comportamenti devianti;
- La percezione che in ambito familiare, scolastico, dei pari e della comunità vi sia approvazione nei confronti del consumo di sostanze psicoattive,

Ai fattori di rischio sono parimenti collegati dei 'fattori di protezione', ovvero quegli atteggiamenti, comportamenti, credenze o azioni, che incrementano la capacità dell'individuo di rispondere in modo adeguato ad eventi particolarmente stressanti o ad altri tipi di avversità. Tali fattori possono inibire e ridurre la probabilità dell'uso o abuso di sostanze.

I 'fattori protettivi' individuati sono:
- legami familiari forti e positivi;
- monitoraggio da parte dei genitori dei comportamrnti dei figli e delle attività che conducono con i pari;
- regole di condotta chiare che la famiglia fa rispettare;
- coinvolgimento dei genitori nella vita dei loro figli;
- successo scolastico, forte legame con le istituzioni, come ad esempio la scuola e le organizzazioni religiose;
- ricorso a norme convenzionali sull'uso di sostanze;

L'insorgere di un fattore di rischio non conduce necessariamente al consumo di sostanze. Sembra invece che quest'ultimo sia determinato dalla compresenza di più variabili e dall'insorgenza di processi cognitivi, motivazionali ed esperienzali devianti, in uno o più dei sette domini specifici, ovvero l'individuo, la famiglia, i pari, la comunità, l'ambiente, il luogo di lavoro e la scuola.

Gli altri due approcci preventivi precedentemente citati (di tipo selettivo e mirato), agiscono invece su gruppi di popolazioni considerate 'a rischio' e si pongono lo scopo di individuare con un certo anticipo i casi critici, fornendo le ipotesi di trattamenti ad uno stadio precoce o latente dello sviluppo del disturbo.

In alcuni paesi** la prevenzione selettiva sta suscitando un'attenzione crescente, per esempio in Finlandia e Svezia, a causa dell'aumentato consumo di cannabis ed alcool ad uso ricreativo, ma è tutt'ora limitato a pochi Stati membri, che hanno realizzato progetti, spesso in forma sperimentale.

In Francia, nel 2001, il 30% dei dipartimenti aveva adottato azioni di prevenzione oppure forniva interventi di primo soccorso nei luoghi da ballo. In Irlanda, in un'amministrazione sanitaria il progetto 'The sound decisions' si rivolge invece al personale ed ai soci dei night club. Nei Paesi Bassi, per affrontare gli incidenti provocati dalle droghe che possono verificasi in ambienti ad uso ricreativo, si organizzano corsi per formatori in tecniche di primo soccorso. L'iniziativa olandese Going out and drugs comprende interventi in ambienti diversi dalla scuola, dove i giovani fanno uso di droghe, come coffee shop, discoteche, feste private e club, nonché nei luoghi ove si tengono eventi musicali di grande richiamo. In Norvegia, Svezia e Danimarca, i 'corvi della notte' sono volontari adulti che pattugliano le strade del centro città durante le sere e le notti dei week end, con lo scopo di essere visibili e disponibili nei confronti dei giovani. L'idea è che la loro presenza riduca la probabilità di violenze e danni. Svariati progetti si rivolgono invece ai consumatori di stupefacenti nel mondo della manifestazioni musicali, per minimizzare i rischi derivanti dal consumo, lecito ed illecito, di sostanze (camper itineranti che stazionano nei parcheggi dei locali, analisi delle pastiglie in loco, servizi di counselling, ecc.).

A questo tipo di progetti, si uniscono specifici programmi dedicati ai giovani che vivono in aree socialmente svantaggiate: in Irlanda è stato istituito il Young People's Facilities and Services Found che mira ad attirare i giovani 'a rischio' che vivono in aree svantaggiate, verso strutture ed attività suscettibili ad allontanarli dai pericoli dell'abuso di sostanze. Nel Regno Unito il progetto Positive Future, opera in 57 aree svantaggiate per indirizzare allo sport i giovani vulnerabili, distogliendoli da droghe e criminalità. Il progetto Health Action Zones (Haz) prevede la strutturazione di interventi in alcune delle aree più svantaggiate dell'Inghilterra, allo scopo di affrontare le disuguaglianze sanitarie, mediante programmi di modernizzazione dell'assistenza sanitaria e sociale. Il progetto Commexions è un servizio di sostegno e consulenza del Regno Unito che si rivolge ai giovani a rischio e prevede il rinvio a servizi specializzati in materia di droga. In Finlandia, i Walkers youth cafés, che forniscono interventi allo stadio iniziale, operano attualmente in 24 località. Progetto analogo, è quello sviluppato da una Amministrazione sanitaria regionale irlandese (Health Advice Cafè), che mira a fornire ai giovani un mix di prevenzione e di accesso diretto ai servizi. Infine, in Norvegia, la maggior parte dei comuni prevede servizi di prima assistenza (operatori di strada).

A questa famiglia di interventi fanno parte anche le strategie di 'riduzione del danno', volte a minimizzare i danni alla salute -per chi già fa uso di sostanze-, ridurre i decessi e mitigare le forme di disturbo alla quiete pubblica. Tali interventi sono diventati parte integrante di molte strategie nazionali in materia di droga. Tra questo tipo di iniziative si segnalano i programmi di scambio di siringhe (diffusi ovunque ad eccezione di Svezia e Grecia), le iniziative di prima accoglienza (operatori di strada) ed i servizi a bassa soglia. In alcuni paesi tali servizi sono andati via via espandendosi, includendo l'assistenza medica di base, le vaccinazioni (in particolar modo per l'epatite B ed in misura minore per l'epatite C), l'educazione al 'consumo sicuro', l'assistenza medica nei casi di overdose, i corsi di primo soccorso per tossicodipendenti o la predisposizione di locali dedicati al consumo.

La scienza della prevenzione ha fatto grandi progressi. Negli ultimi anni il problema è studiato da un numero sempre crescente di esperti, mentre si stanno diffondendo, in Italia come all'estero, le esperienze degli 'Osservatori' tematici e delle Unità Operative finalizzate alla prevenzione. Grazie all'imponente lavoro condotto, è oggi possibile disporre di modelli teorico-culturali e di strategie sempre più efficaci, che rispondono all'esigenza di orientare il lavoro delle Comunità, degli operatori e dei servizi pubblici dedicati, verso interventi innovativi, fondati sull'evidenza empirica.

____________________________________
* da Orlandini, D., Nardelli, R., Bottignolo E., Prevenzione delle dipendenza in ambito scolastico. Dagli aspetti teorici agli aspetti tecnico-operativi. Vol. 1; Azienda ULSS 12 veneziana, 2004;
** daRelazione annuale 2004. Evoluzione del fenomeno della droga nell'Unione Europea ed in Norvegia; OEDT - Osservatorio europeo delle droghe e della tossicodipendenze, 2004;

 

Bibliografia:
-
Caplan, G. 1964, Principles of preventive Psychiatry. Basic books, New Yourk;
-
Chavis D. M., De Pietro G., Martini E. R., (1994), Partecipazione sociale. Un percorso oltre il disagio, in “Animazione  Sociale�?, nr.  4;
- D'Egidio P. F. (a cura di), La prevenzione: principi generali e linee guida del NIDA,  Agenzia Sedes, 2003;
- Dusenbury, L., Falco, M. (1995), Eleven components of effective drug abuse prevention curricula , Journal of School Health, n, 65;
- Flay, B. (2000), Approaches to substance use prevention utilizing school curriculum plus social environment change , Addictive Behaviours, n. 25;
- Hansen, W. (1992), School-based substance abuse prevention: a review of the state of the art in curriculum, 1980–1990, Health Education Research, n. 7;
- Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Relazione annuale al parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2003;
- OEDT - Osservatorio europeo delle droghe e della tossicodipendenze, Relazione annuale 2004. Evoluzione del fenomeno della droga nell'Unione Europea ed in Norvegia, OEDT, 2004;
- Orlandini, D., Nardelli, R., Bottignolo E., Programmi e modelli di prevenzione primaria delle dipendenze: i diversi aspetti della valutazione, Regione Veneto. Assessorato alle politiche sociali, volontariato e non-profit. Direzione regionale per i servizi sociali;
- Paglia, A., Room, R. (1999), Preventing substance use problems among youth: a literature review and recommendations , Journal of Primary Prevention, vol. 20 (1);
- T. Glynn, C. Leukefeld, and J. Lundford, J. (Eds.), Preventing adolescent drug use: Intervention strategies. Rockville, MD: National Institute on Drug;
- Tobler, N., Stratton H.H. (1997), Effectiveness of school-based drug prevention programs: a meta-analysis of the research, Journal of Primary Prevention, n. 18 (1). 
- Tobler, N. S., Roona, M. R., Ochshorn, P. (2000), School-based adolescent prevention programs: 1998 meta-analysis, Journal of Primary Prevention, n. 20;
- Tobler, N. (2001), Prevention is a two-way process, Drug and Alcohol Findings, n. 5;


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