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Mutamento Sociale n.16 - Giugno 2007
Nell’ambito del dibattito sulle politiche familiari evidenziamo qui alcuni dei risultati principali emersi nel corso della fase qualitativa della ricerca “Madri Atipiche – Realtà e rischi dell’esclusione dal mondo del lavoro” svolta da settembre a dicembre 2006 per conto di IReR e del Consiglio Regionale della Lombardia, con lo scopo di far luce sulla realtà delle donne a rischio di esclusione, o uscite, dal mercato del lavoro in conseguenza ad un evento critico. Si è dunque cercato, nel corso dell’indagine qualitativa di individuare le dinamiche e le traiettorie che portano all’uscita dal mercato del lavoro di questo delicato target di popolazione e di far emergere le strategie di fronteggiamento e di riorganizzazione adottate all’interno dei nuclei familiari per conciliare l’impegno di self care con il mantenimento dell’occupazione.
Il primo e principale elemento da evidenziare è la presenza di fattori culturali fortemente radicati nel mercato del lavoro e nella dimensione familiare, che fanno sì che la donna sia ancora considerata, sia all’interno della sfera pubblica che in quella privata, come principale responsabile della cura dei figli (e di eventuali anziani non più autosufficienti). Anche se con accezioni più sfumate e spesso più nascoste che in passato, sembra che l’idea della donna come “angelo del focolare” sia di fatto ancora lontana dal tramontare. Come si è visto nella quasi totalità dei casi studio, anche se in modalità diverse da un caso all’altro, proprio queste resistenze culturali al cambiamento portano a considerare il modello del male breadwinner l’unica strategia possibile per l’organizzazione familiare.
La precarizzazione dei contratti e la frammentazione dei tempi, nonché la sovrapposizione dei tempi e degli spazi di lavoro e di cura, sembrano acuire le difficoltà delle donne con figli ad affermarsi nel mercato del lavoro e a considerarsi lavoratrici oltre che madri.
Le resistenze dei datori di lavoro, la rigida divisione dei compiti di cura all’interno della coppia, la scarsità di servizi per la famiglia, oltre che le criticità connesse all’organizzazione temporale delle diverse sfere di vita, portano di fatto le donne lavoratrici ad essere costrette nella morsa delle successioni temporali, con un conseguente senso di inadeguatezza a ricoprire entrambi i ruoli di madre e di lavoratrice in modo soddisfacente.
È proprio questa continua rincorsa che ingenera di fatto nelle donne, soprattutto se imbrigliate in circuiti lavorativi precari ed intermittenti, la difficoltà a sviluppare progetti di vita individuale e di coppia a lungo termine: per le madri atipiche esiste solo il “qui” e l’“ora” e qualunque progetto o speranza per il futuro viene rimandata a “quando i figli saranno grandi”.
Un ulteriore aspetto da sottolineare riguarda la relativa facilità con la quale le donne che rimangono sole rischiano di scivolare in situazioni di povertà. La donna sola con figli a carico risulta essere, come è emerso dalla ricerca svolta, uno dei soggetti più a rischio di esclusione dal mercato del lavoro e, di conseguenza, a rischio di povertà. Nel momento infatti in cui viene meno il sostegno economico del marito la donna stenta a reinserirsi sia nei circuiti lavorativi che in quelli socio-relazionali e trova oltretutto enormi difficoltà ad accedere alle reti di supporto pubblico: sia per un’oggettiva carenza di servizi dal lato dell’offerta, sia per l’esistenza di palesi asimmetrie informative tra potenziali fruitori e latori degli stessi.
Sembra dunque che le barriere all’accesso per una presenza femminile stabile nel mercato del lavoro, derivino in ultima analisi da fattori di tipo culturale: finché la maternità continuerà ad essere considerata come un fatto privato, che coinvolge in maniera esclusiva la donna (nemmeno la coppia), difficilmente potranno prodursi circoli virtuosi di rottura del modello tradizionale di organizzazione della vita famigliare.
Persistenze e trasformazioni. In definitiva possiamo a buon diritto interpretare la realtà descritta come uno scenario in forte evoluzione, in cui opposte forze di sistema interagiscono fra loro producendo un quadro generale di forte instabilità su una molteplicità di livelli del vivere quotidiano: dal lavoro, alla famiglia, all’abitazione.
Il mutamento sociale in atto da alcuni anni a questa parte, che interessa in particolar modo le dinamiche e gli stati familiari, si inserisce però in una realtà ancora fortemente cristallizzata su modelli idealtipici culturali che tardano a trasformarsi.
Cambiano gli spazi, cambiano i tempi, ma non mutano le logiche di fondo, e i sistemi di welfare non sono ad oggi ancora stati in grado di accompagnare questo mutamento, al fine di lenirne gli effetti critici e correggerne le distorsioni.
Trasformazioni nelle persistenze si potrebbe a questo punto concludere: il continuo cambiamento delle regole del gioco costringe gli attori coinvolti a riorganizzarsi, a ripensare tempi e ridefinire spazi, ma i rapporti di forza tra giocatori, rispetto alla suddivisione dei rispettivi compiti ed oneri, non cambiano, non per motivi di subalternità dell’uno rispetto all’altro, bensì per il radicato persistere di un mutuo riconoscimento dell’importanza ed esclusività dei rispettivi ruoli.
I sintomi di questo rapporto dialogico asimmetrico, immerso in un assoluto contesto di precarietà, che oltretutto il sistema pubblico di welfare non si premura di vedere e correggere, si manifestano poi nel mutamento tuttora in corso, che riguarda fenomeni quali il calo degli indici di fertilità, la posticipazione delle principali tappe di transizione alla vita adulta, l’aumento degli indici di povertà delle giovani famiglie italiane.
Sembra dunque che la maternità come fatto privato abbia sempre più un effetto negativo non solo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma incida anche negativamente sia sulla propensione che sulla tempistica delle donne rispetto alla messa al mondo del primo figlio.
Facilitare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro tramite politiche che mirino a rompere lo stretto ed esclusivo legame tra donne e lavoro di cura potrebbe, dunque, avere effetti positivi non solo sulla vita delle donne e sulla struttura del mercato del lavoro, ma anche sulle dinamiche demografiche del contesto lombardo.
E’ importante perciò che si rafforzi l’attenzione del dibattito pubblico su queste tematiche, affinché si guardi alla maternità da un lato come una risorsa per la società e dall’altro (e di conseguenza) come una questione pubblica e non esclusivamente privata.
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