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Mutamento Sociale n.11 - Luglio 2006
1. Premessa
Dinnanzi al sempre più impegnativo ruolo che i vari attori istituzionali, centrali e locali, vanno assumendo nel vasto campo delle politiche sociali (sanità, istruzione, previdenza, servizi alla persona ed alle famiglie, formazione, cultura, sport, etc.) risulta in costante crescita l'esigenza di 'ricerca applicata' per orientare, monitorare e valutare non solo le 'politiche pubbliche' (o comunque la trama degli interventi legislativi ed amministrativi) ma anche i fenomeni sociali di maggiore rilevanza che ad esse si connettono.
Peraltro in un contesto di europeizzazione da un lato e di auspicabile trasformazione federalistico-decentrata del nostro modello statuale dall'altro, oltre che dinnanzi ai continui e repentini mutamenti nei sistemi produttivi e nei rapporti sociali, diviene effettivamente importante la risorsa 'ricerca sociale' per il continuo 'monitoraggio' delle realtà territoriali collettive nelle quali è organizzata di fatto la nostra società.
La costruzione di scenari accuratamente descrittivi e financo interpretativi di tendenze; la rilevazione puntuale dei 'segnali deboli' (degli 'eventi sentinella') presenti nella società; la delineazione dei costi e delle opportunità di determinate decisioni politiche; la rilevazione dei punti critici dei modelli organizzativi che stanno alla base delle varie reti di servizi; la valutazione della qualità e della soddisfazione delle utenze sono, tra gli altri, alcuni dei compiti cui la ricerca sociale empirica applicata può e deve puntare. Tutti temi su cui l'investimento è stato però assolutamente insufficiente ed anzi essa, la ricerca, è ritenuta 'irresponsabilmente' da molti 'responsabili' della cosa pubblica, nazionale e locale, cosa inutile e superflua. Al contrario vi è un terreno che di recente nel nostro paese, in virtù anche di mutamenti nei sistemi di rappresentazione elettiva, è stato sottoposto ad una smisurata attenzione da parte del sistema politico-decisionale e dagli stessi mezzi di comunicazione di massa: i sondaggi di opinione pubblica , in particolare quelli concernenti le preferenze politicoelettorali dei cittadini. L'evidenza della connessione con un interesse immediato delle elites politiche è palmare. Ma gli effetti 'perversi' che più in generale ne derivano vanno pur richiamati e contrastati.
2. Un excursus
Nelle società democratiche di massa si consentono, in maniera più o meno ampia, le espressioni di opinioni e di punti di vista che orientano lo strutturarsi di elementi di consenso o di dissenso su determinati principi, valori o obiettivi (o mezzi per raggiungerli) della comunità stessa.
Descrittivamente si può parlare di una società nella quale la grande maggioranza della popolazione è coinvolta, secondo modelli di comportamento generalizzati, nella produzione su vasta scala, nella distribuzione e nel consumo di beni e di servizi; nonché è coinvolta nella vita politica, per mezzo di modelli generalizzati di partecipazione, e nella vita culturale, attraverso l'uso dei mezzi di comunicazione di massa.
Vari filoni di pensiero hanno elaborato critiche importanti al concetto stesso di società di massa oltre che alle modalità del suo darsi (Gallino).
Ma in molti vi hanno visto, come caratteristica fondante, il predominio dei mezzi di comunicazione di massa e del grave rischio della manipolazione culturale, per cui la 'realtà' sociale che ciascun soggetto 'conosce' è spesso e di gran lunga quella che 'fa sua' tramite i media ed assai meno quella che 'esperisce' nella quotidianità.
È da intendersi per cultura di massa un qualsivoglia processo di produzione, trasmissione e diffusione di immagini, suoni, testi, notizie che è orientato a raggiungere in tempi brevissimi un numero tendenzialmente elevatissimo di persone disperse su un territorio (talora a dimensione planetaria) che non sono, generalmente,in rapporto socioaffettivo o professionale tra loro.
Televisione, computer, reti telematiche, telefono, radio, sistemi satellitari, stampa, cinema sono tra i mezzi a tutti noi conosciuti. La loro inter-azione crea inedite potenzialità comunicative e di penetrazione socioculturale.
Non a caso nelle società contemporanee avanzate, anche definite come 'società dell'informazione', notiamo almeno questi effetti (Larsen) dovuti alle comunicazioni di massa:
- lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa ha fatto sorgere un gran numero di organizzazioni che 'manipolano simboli' (dalla televisione alla pubblicità, dalle pubbliche relazioni alle ricerche di mercato);
- si raggiunge il massimo di separazione tra il trasporto (il movimento fisico dei soggetti) e la comunicazione. Riducendo le distanze fisiche, temporali e sociali si allarga così il pubblico di qualsiasi messaggio ed insieme si allarga l'orizzonte di riferimento per gli individui;
- la cultura di massa modifica/crea linguaggi parlati e scritti e trasforma i rapporti tra le lingue forti e quelle deboli; modifica e crea modalità espressive e mode; dà peso preponderante ai valori materiali di consumo; interviene nel modificare le stesse dinamiche dei gruppi sociali elementari, classicamente ed innanzitutto nella famiglia; impone una inedita attenzione all'immagine;
- si favoriscono altresì nuovi e grandi processi di acculturazione, di istruzione e di prevenzione;
- si crea un potenziale forte potere di controllo tramite i media su ampi strati di popolazione;
- i mezzi di comunicazione di massa hanno ormai acquisito uno status di 'istituzione' sociale a sé stante (come la famiglia, la religione, la politica, etc.) proprio per le funzioni significative svolte nella vita collettiva delle società avanzate e nella vita quotidiana di moltissimi individui. Oltre, ovviamente, che per il cruciale ruolo assunto nel mercato economico e per l'essere essi stessi un complesso industriale di primaria importanza in tutte le società avanzate (McQuail).
È in questo contesto che si pone il tema dell'opinione pubblica e del suo 'ascolto' .
Essa è vista, nella ormai classica lettura di Habermas, sia come istanza critica in rapporto alla pubblicità, normativamente richiesta, dell'esercizio del potere politico e sociale nei sistemi di società tendenzialmente democratici - ed in ciò si connette evidentemente al concetto stesso di sovranità popolare ed ai processi di legittimazione sociale dei sistemi politici (Luhmann) -, sia come istanza ricettiva in rapporto alla pubblicità diffusa in modo dimostrativo o manipolativo a favore di persone e istituzioni, programmi ideologici e beni di consumo e così via. 'Nella sfera pubblica le due forme di pubblicità sono in concorrenza, ma l'opinione pubblica è, apparentemente, il loro comune destinatario: che senso ha in sé questa dimensione?' (Habermas).
Certo è che parlare di opinione pubblica vuol dire parlare di un fenomeno dell'età moderna in quanto si presuppone l'esistere di una società libera; separata dallo Stato, dove si consentano la formazione di opinioni non individuali (Matteucci).
Molti autori hanno dibattuto ed anche ricostruito storicamente, filosoficamente, sociologicamente la genesi di questo concetto. Taluno ricorda (Busino) come già Parmenide di Elea parli di due dottrine: della verità (per la quale solo l'Essere è reale e vero) e dell'opinione (doxa) ove si concede anche al non-Essere una certa qual dimensione di realtà. È l'antinomia antichissima tra sapere e opinione.
Non è difficile ricordare 'l'antidemocratico' Platone ('Io dico che opinare significa parlare e che l'opinione consiste in un discorso esplicitamente pronunciato', Teeteto, 190a) per arrivare giù giù per i secoli sino al John Locke che pone la law of opinions accanto alle Leggi divina e politica (Saggio sull 'intelletto umano). E senza dimenticare ad esempio il Kant che risponde alla domanda 'Che cos'è l'illuminismo' dicendo che è il 'fare uso pubblico della propria ragione in tutti i campi' e che questa è la più 'inoffensiva di tutte le verità'. Fu proprio Kant chi più di ogni altro ha contribuito a chiarire il nesso tra opinione pubblica e pubblicità del potere: il potere 'visibile' è per lui una necessità 'morale'.
Tant'è che giunge ad affermare (ne 'Dell'accordo della politica con la morale secondo il concetto trascendentale del diritto pubblico ') che 'tutte le azioni relative al diritto di altri uomini, la cui massima non è suscettibile di pubblicità, sono ingiuste'.
Fu peraltro il Tocqueville de 'La Democrazia in America' insieme allo Stuart Mill del saggio 'Sulla libertà ' a vedere, tra i grandi teorici liberali, l'ambivalenza ed anzi la preponderante spinta al conformismo dell'opinione pubblica di contro ad una sua funzione sociale critica: 'la maggioranza si incarica di fornire agli individui una quantità di opinioni già fatte e li solleva dell'obbligo di formarsene delle proprie. Una grande quantità di teorie in materia di filosofia, di morale o di politica vengono adottate da ognuno senza esame, sulla fede del pubblico'.
Certamente, nel nostro secolo, con lo sviluppo delle scienze sociali e delle attività di ricerca sociologica e psicologica il concetto di opinione pubblica si è più chiaramente orientato a riflettere le esigenze e le questioni poste da queste discipline. Già agli inizi del secolo e soprattutto nella cultura nord americana vi sono studi di grandi sociologi come Cooley o di famosi psicologi come Allport, Lickert o Thurstone che affrontano empiricamente il problema che un altro autore, Binkley, nel 1928 così sintetizzava: si tratta di porre l'attenzione sul tema 'della funzione e dei poteri della pubblica opinione nella società, sui mezzi con cui essa può essere manipolata o controllata e sulla significativa importanza dei fattori emozionali ed intellettuali che stanno alla base della sua costruzione'. Da allora qualche ulteriore passo definitorio è certamente stato compiuto.
In sintesi, parlando di opinione pubblica, malgrado le cose siano difficilmente determinabili, possiamo dire che 'pubblico' non è solo il soggetto ma anche l'oggetto dell'espressione. 'Una opinione viene detta pubblica non solo perché è del pubblico (diffusa tra i molti) ma anche perché investe oggetti e materie che sono di natura pubblica : l'interesse generale, il bene comune e, in sostanza, la res publica' (Sartori).
Da ciò un punto su cui gli studiosi concordano: 'Il nesso costitutivo tra pubblica opinione e democrazia è di solare evidenza ; la prima è il fondamento sostantivo e operativo della seconda' (Sartori). Ironicamente, ma non troppo, non a caso V. O. Key, dopo accurati studi sulla democrazia americana ebbe a definire l'opinione pubblica 'l'inafferrabile spirito santo dei sistemi politici'. Tralasciamo ora molti degli aspetti più propriamente politologici che ne derivano ma che qui non interessa sviluppare. Ma non possiamo non sottolineare come diventi critica quella realtà sociale in cui tale nesso può essere 'incrinato' dal fatto che interventi totalitari (con un uso spregiudicato e massiccio della propoganda) riducano o, addirittura quasi annullino, il darsi stesso di una opinione pubblica.
Ma anche, ed è questa l'attualità di tutte le nostre società contemporanee avanzate, che le nuove tecnologie di comunicazione di massa minino alle radici l'autonoma costruzione di movimenti di opinione pubblica, sovrastando tutti quei luoghi o processi ('a cascata', sono stati raffigurati da Deutsch) che innestano, 'formano',opinione pubblica.
Dunque esistono, devono poter esistere, molte opinioni pubbliche che devono potersi formare e circolare. La opinione pubblica è di fatto una finzione (in termini politologici) che ci è utile storicamente per cogliere come la realtà costitutiva e costituzionale dello stato sociale va interpretata 'come il processo nel cui caso si realizza una dimensione pubblica con funzioni politiche; ciò significa che l'esercizio del potere sociale e del dominio politico viene effettivamente sottoposto al precetto democratico della pubblicità' (Habermas).
Sociologicamente essa va letta analiticamente nella specificità delle condizioni date ove si strutturano tendenze economiche, culturali e politiche che contribuiscono a 'creare' quelle opinioni pubbliche che 'operano' ('mutano') nella temporalità sociale.
Si possono richiamare allora alcune riflessioni di Cecil Wright Mills ancora attualissime. 'Nel pubblico, come noi lo intendiamo,
a) ci sono virtualmente tante persone che esprimono loro opinioni quante sono quelle che subiscono le opinioni altrui;
b) le comunicazioni pubbliche sono organizzate in modo tale che è possibile rispondere immediatamente ed efficacemente a qualsiasi opinione espressa in pubblico;
c) l'opinione formatasi in tale discussione subito sfocia in un' azione efficace, se necessario anche contro l'autorità;
d) gli istituti dell'esecutivo non penetrano nel pubblico, che pertanto agisce in maniera più o meno autonoma.
Nella massa,
a) coloro che esprimono un'opinione sono di gran lunga meno numerosi di coloro, che la ricevono, per cui la comunità si riduce a una grezza quantità di individui sottoposti passivamente ai mezzi d'informazione;
b) la comunicazione di notizie e opinioni è quasi sempre organizzata in modo tale che è difficile o impossibile all'individuo controbattere immediatamente e con efficacia;
c) il passaggio dall'opinione all'azione è controllato dalle autorità che si preoccupano di indirizzare l'azione stessa;
d) la massa non è ancora autonoma rispetto alle istituzioni: in essa penetrano anzi gli agenti dell'autorità, riducendo irrimediabilmente le possibilità degli individui di formarsi autonomamente un'opinione attraverso la discussione'.
Commenta Habermas: 'I quattro criteri della comunicazione di massa sono soddisfatti nella misura in cui il campo di comunicazione informale è unito a quello formale esclusivamente tramite i canali della pubblicità dispiegata in modo dimostrativo o manipolativo, attraverso i 'luoghi comuni dell'industria culturale' le opinioni non-pubbliche sono integrate da quelle 'pubblicamente manifestate' in un sistema dato senza già avere la minima autonomia rispetto ad esso nella formation of opinion by discussion. Al contrario il contesto comunicativo di un pubblico può crearsi, nelle condizioni della democrazia di massa dello stato sociale, soltanto a patto che la circolazione formalmente circuitata dell'opinione 'quasi pubblica' sia mediata con il campo informale delle opinioni finora non pubbliche attraverso una pubblicità critica accesa in momenti pubblici interni delle organizzazioni'.
E dunque:
- parlare di opinione pubblica significa parlare di un fenomeno né lineare, né statico, né unitario, né autonomo, né autoreferenziale. È un fenomeno che, ha scritto Lazarsfeld, racchiude un''insieme complesso di osservazioni, di problemi pratici, di riferimenti normativi'. Essi vanno ogni volta definiti ed analizzati;
- è un fenomeno connotato da aspetti, entrambi irriducibili, di ordine sociopsicologico e di ordine politologico. L'analisi dell'opinione pubblica non può essere ricondotta a quella dei processi di gruppo ed alla identificazione dell'opinione in essi dominante (come fece certa psicologia sociale), astraendo dalle premesse culturali, storiche e dalla realtà della rete delle funzioni sociali e da quella istituzionale;
- i processi di formazione dell'opinione sono di grande importanza. Eventi specifici, ambiente culturale, irruzione di 'novità' sono elementi che favoriscono il costruirsi delle opinioni personali. È un inestricabile mix di fattori informativi e processi identificativi tra il soggetto e le sue appartenenze sociali. L'iter di formazione individuale di un'opinione va dal momento 'percettivo' di un fatto, di un'astrazione, di un' idea al momento della 'conoscenza' (dell'introiettare, più o meno su base di un vaglio razionale, la percezione iniziale grazie anche alla raccolta di informazioni e altre opinioni) all''atteggiamento' (organizzazione di fattori percettivi/emotivi durevoli da parte del soggetto tale da consentirne una certa prevedibilità), alla 'comportamentalità' (estrinsecazione dell'introiettato nell'ambiente sociale in base a determinate motivazioni) sino 'all'influenza' riservata a quell'opinione (processo di diffusione e di feed-back) nel processo di costruzione dell' opinione.
Vi sono però vari ostacoli, sovraindividuali che si frappongono tra l''evento' (persona, idea, realtà) e l'opinione stessa su quell''evento'.
Sinteticamente è possibile affermare che nelle società complesse si crea socialmente una gerarchia dei temi rispetto ai quali si 'ordinano' le opinioni e che hanno la funzione di ridurre incertezza e di fornire funzioni di senso (Luhmann) proprio all'opinione pubblica.
Dunque i temi che catturano l'attenzione dei cittadini, che hanno rilevanza non sono genericamente disponibili sul mercato sociale ed i meccanismi (le regole) dell'attenzione ordinano, anche inconsapevolmente, la costruzione dei temi 'politici' ('ovvero di tutti') così come le regole della decisione guidano la formazione dell'opinione. Non è difficile mostrare alcuni di questi 'temi' cui si offre 'attenzione':
- la priorità a determinati valori collettivi (la pace; gli aspetti morali della scena politica; le interferenze nell'indipendenza della giustizia ne sono facili esempi);
- la crisi (sintomi di crisi) nel sistema sociale e nei suoi sottosistemi cardinali, in primis, economico (qui i temi del lavoro, dell'occupazione, etc.);
- la novità prodotta da 'nuovi' avvenimenti scientifici, tecnologici, culturali, religiosi (il nuovo suscita di per sé attenzione, al di là d'ogni ulteriore aspetto valutativo);
- le 'sofferenze' di soggetti o gruppi sociali legati alle dinamiche della vita sociale (la fatica, l'emarginazione economica e affettivo-psicologica, la perdita di posizioni sociali);
- lo 'status' dell'autore della comunicazione: i leader politici, i capi di movimenti sociali o religiosi, i grandi opinion leader, 'i nuovi leader mediatici' fanno appunto accrescere l'attenzione.
L'insieme confuso di queste dinamiche, su cui il fattore tempo incide fortemente, crea quel mix che determina il processo di comunicazione collettiva (in questo senso di ordine politico) ove l'opinione pubblica è fattore multiforme di estrema rilevanza ai fini del controllo sistemico. Da qui originano i processi concreti che vanno analizzati per ricostruire i flussi di opinione pubblica, non mai da intendersi, è bene ripeterlo, come unitaria. L'antico e purtroppo non ovunque bandito 'dio è con noi' non può essere traslato, modernamente, nel distorcente 'l'opinione pubblica è con noi'.
Comunque è certamente da oltre due secoli che le questioni che attorniano il tema dell'opinione pubblica (questioni teoriche, normative e pratiche) sono presenti alla riflessione e al dibattito delle scienze sociali e non ci sono molti dubbi, tutt'altro, che esse persisteranno in futuro.
3. Sui sondaggi d'opinione
Nelle società di massa ed, insieme, atomizzate quali sono quelle in cui viviamo è difficile impostare rilevazioni generali di tipo empirico con caratteristiche di precisione previsionale.
L'uso dei sondaggi d'opinione, inconsistenti medium costitutivi d'una non un'univoca opinione pubblica, si è dilatato a dismisura di contro alla difficoltà persistente, nel nostro paese, ad effettuare ricerche sociali approfondite . Se ne è accennato nella premessa di questa 'voce'. Non è indifferente a tutto ciò un nuovo e particolare business, ben legato al business cycle politico, che a 'modico prezzo' offre 'quadri' di realtà sociali ipotetiche (talvolta veramente 'virtuali') da spendere nell'agone politico e/o in quello informativo-manipolativo. All'opposto le indagini sociali richiedono tempo e assai più cospicui investimenti di denaro e di intelligenza per cui risultano 'non funzionali' a questo meccanismo, ai suoi ritmi ed alle sue finalità.
Certo non è facile pensare di andare, oltre la 'politica' e la 'scienza' spettacolo, ad un ascolto più profondo e complesso dei bisogni, degli interessi, degli ideali che guidano i comportamenti e le scelte delle persone e delle organizzazioni che creano la trama sociale di una collettività; un ascolto metodologicamente rigoroso, pur con tutti gli invalicabili limiti e le ineliminabili incertezze, dove l'interrogare ed il rispondere esigono un 'di più di attenzione e di conoscenza' (Ristuccia). E dove il tutto non si riduce alla banale semplificazione 'magica' di un qualche numero percentuale con cui codificare le risposte!
Questo processo continuo di autoascolto della società , orientato a dare 'voce' alla popolazione è pur sempre, come ha recentemente ricordato il sociologo Rositi, un antico ideale democratico oltre che l'essenza stessa dello studio sociologico: proprio per questo va fatto con strumenti scientifici adeguati, non manipolativi, saggiando perlomeno ogni volta il livello informativo degli intervistati sulle varie questioni. Il circolo vizioso di opinioni pubbliche 'deboli', poco informate, con livelli di istruzione, se misurata in anni di studio, davvero sconsolanti (il 40% degli elettori italiani è stato recentemente definito in uno studio di G. Calvi e A. Vannucci come 'deprivato culturalmente, indifferente e persino insofferente verso la politica), il tutto in un contesto di incremento di complessità delle strutture materiali e simboliche della società di cui vengono offerte rappresentazioni 'disinformanti' e banali è un problema serio di questo nostro tempo, per la nostra crescita civile. Le persone comuni, anzi la famosa 'gente' da questa esplosione sondaggistica quale essenziale 'informazione' guadagna se non una perversa, latente, azione eterodirettiva su sé stessa?
Ha scritto con lucidità Rositi che 'se adottiamo la convinzione che la nostra democrazia è tale solo perché aperta a ideali democratici ancora lontani e forse irraggiungibili; se restiamo nella passione democratica che fu di Karl Mannheim e che ci fa uomini democratici di una democrazia imperfetta, allora è chiaro che dobbiamo proporre la domanda sul ruolo dei sondaggi nella chiarificazione e nello sviluppo positivo di competenze nell'opinione pubblica'.
Per inciso sia richiamato che può essere definito sondaggio un procedimento d'indagine empirico-campionaria che raccoglie, classifica, analizza e presenta informazioni basate su dichiarazioni di opinioni, atteggiamenti, conoscenze, comportamenti di individui e gruppi sociali, relative a temi politici ed in senso più lato, socio culturali. I sondaggi di opinione rientrano nell'ambito più ampio delle ricerche sociali e sono soggetti e regolati dalle stesse norme e criteri metodologici validi per altre forme di indagini campionarie (Crisci-Pisani).
E qui ci aiutano a proseguire la riflessione le stringenti critiche di Pierre Bourdieu. Occorre però fare prima una precisazione. Sia le critiche metodologiche sia quelle tecniche che spesso, e correttamente, si possono rivolgere a molti tra i sondaggi d'opinione che sono veicolati nel circuito informativo massmediologico italiano non vogliono in alcun modo significare uno sbrigativo sbarazzarsi di questo, seppur arcano, strumento di lavoro. Non si può, in particolare nella scienza 'politica', dimenticare che la sistematica introduzione di sondaggi d'opinione negli anni '40 con Gallup ha veramente prodotto nuove prospettive conoscitive. Da allora possiamo dire che i sondaggi, più che gli elettori, effettivamente influenzano i politici . Ma certamente in molti paesi, anche dove sono stati adottati provvedimenti legislativi di tutela e di controllo, i sondaggi demoscopici rimangono al centro di polemiche e discussioni. Per il loro stesso porsi, per il forte legame al sistema dei media, per l'ignoranza degli operatori dei media (ed anche della classe politica) circa l'effettiva materia di rilevazione dei sondaggi stessi. Ma dunque, quali critiche metodologiche ai sondaggi demoscopici? Ovvero quali critiche sui punti di raccordo fra i quadri concettuali e teorici di riferimento e la effettiva, concreta pratica di ricerca?
Per Bourdieu sono tre i postulati concettuali da smantellare. Egli scrive: 'innanzitutto, ogni ricerca di opinione presuppone che tutti possano avere un'opinione; oppure, in altre parole, che la produzione di un'opinione è alla portata di tutti. Pur sapendo d'urtare un sentimento ingenuamente democratico, intendo contestare questo primo postulato.
Secondo postulato: si presuppone che tutte le opinioni si equivalgono. Le cose non stanno così e il fatto di accumulare delle opinioni che non hanno per nulla la medesima forza reale porta ad una distorsione assai marcata.
Terzo postulato implicito: nel semplice fatto di porre a tutti la stessa domanda è implicita l'ipotesi che esista un consenso sui problemi, in altre parole che esista un accordo sulle domande che meritano di essere poste.
Questi tre postulati implicano tutta una serie di distorsioni che si possono osservare anche quanto tutte le condizioni del rigore metodologico sono state rispettate nella raccolta e nell'analisi dei dati'.
Da ciò Bourdieu ne deduce che, almeno nella forma che le attribuiscono coloro che hanno interesse ad affermare che essa esiste, l'opinione pubblica non esiste.
Questa riflessione è, in ambito scientifico, ampiamente condivisa. Contro ogni semplicismo semplificatorio con essa si vuole affermare la difficoltà non solo a rilevare ma anche a ritagliare, di volta in volta, tutte le volte, l'oggetto di indagine 'opinione pubblica'.
Aree del sociale d'eccezionale complessità la cui esplorazione richiede ricerche di grande spessore e preparazione, anche nelle tecniche (spesso plurime: al questionario molto articolato ed ampio si affiancano test proiettivi, colloqui semi strutturati in profondità, focus group, interviste a testimonials, oltre ad operare con ampi campioni) vengono disinvoltamente liquidate e banalizzate in poche domande sulle quali oltretutto spesso si richiede di dare una risposta dicotomica del si/no, accordo/non accordo. Sono questi prodotti invero su cui porre scarso affidamento e che risultano offensivi per chi fa seriamente ricerca sociale. Peraltro la riflessione sociologica ha ampiamente acquisito la consapevolezza che le problematiche che vengono proposte dai sondaggi di opinione sono 'problematiche interessate', nel senso che si pongono questioni che, in un determinato momento, rivestono una certa rilevanza 'pubblico-politica'.
Il sondaggio, sfornato a ripetizione ed ampliato ancor più semplicisticamente dai media, fatalmente crea l'illusione che l'opinione pubblica è pura addizione di opinioni individuali. Ma ciò è 'semplice artificio'. Essa è un sistema di forza (Bourdieu) e ogni esercizio di forza è sempre accompagno da un discorso che mira a legittimarlo e a dissimularlo. L'effetto sondaggio gioca proprio qui: 'si costruisce l'idea che esiste un'opinione pubblica per legittimare una politica e per rafforzare i rapporti di forza che ne stanno alla base o la rendono possibile ' (Bourdieu). È quello altrimenti chiamato, nelle scienze locali, l'effetto 'consenso'.
È ora utile richiamare ancora alcune notazioni, talune di merito tecnico, che aiutino a cogliere aspetti rilevanti per potersi costruire un'opinione fondata sui sondaggi d'opinione. Talune di queste avvertenze potranno sembrare banali ma, purtroppo, tali non sono nei fatti. Didascalicamente:
- la costruzione del questionario di indagine è uno dei problemi più importanti per uno studio veramente critico dell'opinione pubblica. La 'chiarezza', la 'sequenza' e la 'formulazione' delle domande sono punti assai delicati da verificare nel questionario. Il fatto che la formulazione delle domande modifica la percentuale di soggetti che esprime una certa preferenza è ormai cosa risaputa grazie alla psicometria ed alla psicologia. Il punto critico è che, molto spesso, già lo si è detto, le persone non hanno delle opinioni ed il fatto di rispondere alle domande di un sondaggio non significa che 'dietro' si sia creata e vi persista un'opinione. Non vi sono opinioni spontanee ed ingenue. Si hanno tante più opinioni su un problema quanto più si è interessati al problema stesso;
- ignorare le 'non-risposte' è cosa davvero errata. Esse presentano invece di per sé un dato molto interessante da studiare;
- le domande ipersemplificate poste su tematiche di per sé complicate determinano distorsioni ed errori nella comprensione dei risultati;
- bisogna poter vedere in concreto quali sono state le domande che si sono poste. Va altresì ricordato che esse sono sempre reinterpretate in funzione degli interessi e dei quadri culturali del soggetto rispondente e dunque, criticamente, occorre sempre porsi la questione: 'a quale domanda le diverse categorie di persone intervistate hanno creduto di rispondere?';
- quando si vogliono far passare 'principi importanti' attraverso asserti o 'cose' semplici, accattivanti e per questo a-problematiche,riduttive, talvolta solo orientate a screditare idee o persone siamo già sul terreno della 'propaganda' e non più della ricerca di opinione. Lavori di tale natura sono da disattendersi;
- è importante rendere trasparenti e pubblici i metodi e le tecniche utilizzate in un dato sondaggio. Così ad esempio il tipo di campionamento, la consistenza campionaria, la distribuzione territoriale, il periodo di rilevazione, l'errore di stima previsto, lo o gli strumenti di rilevazione, i metodi di rilevazione, etc. Ovviamente è altrettanto importante definire precisamente l''universo' di riferimento dal quale si 'estrae' il campione;
- fondamentale è la rappresentatività del campione utilizzato. Su questo punto le garanzie devono essere massime. La letteratura scientifica in proposito è ampia ed offre ogni indicazione utile;
- è importante segnalare, in particolare, se il metodo di rilevazione usato è stato quello telefonico. Esso è il meno costoso e tendenzialmente il più utilizzato, anche per il grande risparmio temporale. Purtroppo non solo con tale scelta si elimina una quota della popolazione generale (che non può essere 'estratta' essendo priva di telefono) ma se utilizzata nelle ore usuali di lavoro giornaliero vi sarà una distorcente presenza di risposte provenienti per lo più da donne casalinghe e persone anziane;
- la modalità di intervista è un fattore molto importante. Una cosa è l'intervista diretta, altra cosa quella telefonica, altra cosa ancora è l'intervista tramite questionario postale, ancora diversa è quella attraverso personal computer/modem. Vari studi hanno mostrato come induca maggiormente alla stereotipia di risposta l'intervista telefonica. Batterie di identiche domande fatte alle stesse famiglie una volta via telefono e una volta via modem hanno condotto a diverse differenze in molti punti. Peraltro le indagini telefoniche non consentono di effettuare lunghe, articolate interviste, con domande esse stesse sub-articolate o complesse. Anche ciò contribuisce a rendere molto precaria questa usatissima modalità di lavoro. La tendenza a dare risposte 'compiacenti' e stereotipate è un pericolo grave di distorsione insito in questi tipi di lavori;
- la forma di presentazione dei risultati deve garantire la completezza informativa e vi deve essere il massimo rigore ed imparzialità nella analisi/commento dei dati. Importante è rilevare e riportare, per quanto possibile, come risultato da sottoporre a valutazione pubblica i 'sistemi di coerenza'. Ovvero si tratta di articolare degli insiemi di risposte che mostrino articolazioni complesse delle opinioni e che divengano così teoricamente dibattibili. Ne deriva che non ci si deve avvalere di una sola domanda per costruire indicatori anche solo descrittivi. Inoltre, i dati ottenuti vanno offerti non solo massimamente aggregati ma anche a livello minimo di aggregazione, cioè molto disaggregati, sicché si possa 'rovistare' in essi da parte di chiunque sia interessato;
- va assolutamente garantito l'anonimato degli intervistati. Questo è un principio cardine. Vi deve essere altresì un consenso esplicito ad essere sottoposti ad intervista. I dati individuali raccolti devono essere garantiti dalla più totale sicurezza di riservatezza;
- andrebbe creata anche nel nostro paese una Authority che certifichi i sondaggi di opinione e che dia garanzie circa la qualità dei dati offerti non solo a chi 'compra' il sondaggio ma anche alla collettività nel suo insieme, ovvero alla stessa opinione pubblica.
4. Conclusione
Lo sviluppo prevedibile delle società avanzate vedrà crescere la preoccupazione per il mantenimento delle libertà e della coesione della 'società civile' dinnanzi alle sfide della competizione efficientistica, il valore che, in qualche misura, sembra essere quello trainante a scapito di una più equilibrata concezione societaria.
Il compito che incombe su queste società avanzate nel futuro prossimo è quello di 'far quadrare' il cerchio fra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica (Dahrendorf).
In questo processo, insieme culturale e politico, una funzione importante spetterà alle pubbliche opinioni, liberamente formatesi: quella di impedire il consolidarsi di un autoritarismo dolce ed insieme soffocante e passivizzante, ben 'gestito' dai media.
È di estrema importanza quindi favorire in ogni modo la dialettica delle idee e ostacolare in ogni modo la manipolazione culturale .
Come ci ricorda Norberto Bobbio, rifacendosi alla antica metafora dell'Enlightment o della Aujklarung, ovvero del rischiaramento: 'si capisce che la maggiore o minore rilevanza dell'opinione pubblica come opinione relativa agli atti pubblici, cioè propri del potere pubblico ... dipende dalla maggiore o minore offerta al pubblico, intesa proprio come visibilità, conoscibilità, accessibilità e quindi controllabilità, degli atti di chi detiene il supremo potere. La pubblicità così intesa è categoria tipicamente illuministica in quanto rappresenta bene uno degli aspetti della battaglia di chi si considera chiamato a sconfiggere il regno delle tenebre: dovunque abbia esteso il proprio dominio la metafora della luce e del rischiaramento ben si addice alla rappresentazione del contrasto tra potere visibile e potere invisibile'.
* tratto da L. Mauri e C. Penati (a cura di), Pagine Aperte 2. Strumenti di conoscenza e di gestione del cambiamento, FrancoAngeli, Milano
Bibliografia
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