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Analisi e percezione della perdita del potere d’acquisto

di Benedetta Pipino, Marica Sinopoli, Jacopo Di Silvestre e Lorenzo Mangiola. Dalla rubrica "Lavori di ricerca empirica degli studenti dell'Università di Pavia per il corso di Statistica Sociale
Negli ultimi mesi la popolazione ha risentito dell’aumento dei prezzi, a partire da beni come gas, luce e poi anche per i generi alimentari. In questo momento con un euro possiamo acquistare meno beni rispetto al passato, abbiamo visto perciò diminuire il potere d’acquisto della moneta, a causa dell’inflazione. Un fenomeno che ormai tutti hanno conosciuto e che ognuno di noi, anche se in maniera molto diversa ha dovuto affrontare. Come ha impattato sulle vite dei cittadini e come ha modificato le loro scelte di consumo?  Qual è la consapevolezza dei cittadini rispetto a questa tematica? Lo scopo dell’analisi, effettuata a scopo didattico presso l’Università degli studi di Pavia è stato proprio quello di rispondere a queste domande, per valutare ad esempio su quali fasce di cittadini l’inflazione è stata più difficile da gestire.
Per raccogliere i dati abbiamo realizzato un questionario anonimo attraverso la piattaforma Google Forms, che è stato sia diffuso tramite i principali canali Social sia presentato direttamente alle persone tramite delle interviste nel comune di Pavia. In totale abbiamo ottenuto un campione di circa 250 candidati. I dati sono stati poi analizzati calcolando alcuni dei più semplici indici di associazione e cograduazione, insieme a delle medie condizionate delle variabili che più ci interessavano, per fare ciò abbiamo sfruttato principalmente due software: Excel e Gretl.
La nostra analisi è stata costruita sulla base di tre pilastri fondamentali, o meglio tre domande alle quali abbiamo cercato di dare una risposta:
  1. Come sono cambiate le scelte di consumo in risposta all’inflazione?
  2. Su chi sta gravando maggiormente l’inflazione?
  3. Quali sono le preoccupazioni e le previsioni future?
Il 100% del campione si è accorto dell’aumento dei prezzi e il 95% degli intervistati ha espresso delle aspettative di aumento dei prezzi per l’anno corrente. Per analizzare il primo punto abbiamo analizzato l’andamento dei consumi in risposta all’inflazione e in linea con le nostre aspettative le persone hanno modificato i loro consumi e le loro abitudini. In particolare, abbiamo chiesto di quanto avessero modificato le loro scelte dando la possibilità di indicare un valore da uno a cinque e abbiamo constatato che il 70% del nostro campione ha modificato i propri consumi votando tre, quattro o cinque. In base alla residenza geografica abbiamo notato che il 73% delle persone residenti nel centro Italia ha modificato di molto i propri consumi ed inoltre che in generale la fascia d’età che li ha modificati di più è quella compresa tra i 49 e i 57 anni. Per di più ci saremmo aspettati che le fasce di reddito più basse avrebbero dovuto essere quelle che hanno effettuato i cambiamenti maggiori ma, così non è stato. Questo perché probabilmente ha vinto un effetto per cui minore disponibilità di denaro possiede una famiglia, minore è la possibilità di scegliere a cosa rinunciare. In aggiunta a quanto già detto la proporzione di persone che hanno cambiato di molto i loro consumi è maggiore per chi si trova all’interno di nuclei famigliari con 4 o 5 persone. Il risultato più significativo dell’analisi sui consumi è che le persone che hanno modificato molto i consumi passano dallo 0% nelle persone con un livello di istruzione basso, 24% per il livello di istruzione medio e 27% per un alto livello di istruzione. Questo significa che all’aumentare del livello di istruzione c’è stato un aumento del tasso di persone che ha risparmiato tanto.
Per quanto riguarda il secondo punto l’analisi mostra che si sentono più povere le persone con un reddito fino a 15.000 euro e che rispetto alla professione lavorativa si sentono più poveri i lavoratori dipendenti rispetto agli autonomi, disoccupati e pensionati. Il confronto con il lavoratore autonomo è coerente con quanto ci saremmo aspettati a priori dell’analisi, in quanto il lavoratore disoccupato non ha modo di aumentare le sue entrate in seguito all’inflazione, mentre il lavoratore autonomo è più flessibile e può aumentare i prezzi. Anche qua abbiamo potuto notare che la proporzione di persone che si sentivano più povere era quella residente al centro Italia e quella 49-57 anni. 
Nell’ultima parte della nostra ricerca ci siamo concentrati sul verificare all’interno del campione, l’aumento dei prezzi disincentivasse le persone a creare famiglia e disincentivasse la natalità. Abbiamo concluso che il livello di reddito può essere associato al disincentivo di fare figli anche se non c’è un’associazione così alta come pensavamo tra i due fenomeni. È stato interessante scoprire inoltre che la proporzione maggiore di persone che pensano che il continuo aumento dei prezzi possa disincentivare la natalità si trova tra le fasce d’età intermedia, quelle maggiormente coinvolte in tale tematica. Per di più la proporzione di femmine che pensa che l’aumento dei prezzi non possa disincentivarle ad avere figli è doppia rispetto ai maschi. Infatti, abbiamo visto che al crescere del livello di reddito cresce la proporzione di persone che pensa che i prezzi aumenteranno mentre al crescere del livello di istruzione diminuisce la proporzione di persone con aspettative al rialzo dei prezzi. 
 

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