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COVID-19: di quale leadership hanno bisogno i dipendenti pubblici dalla fine del lockdown

di Paolo Fossati
D’accordo, ce l’avete detto in tutte le salse e l’abbiamo capito: ci aspetta un lungo periodo in cui non saremo più come prima, neppure noi dipendenti pubblici. Ma come cambierà il bisogno di leadership nei nostri uffici? Perché non sarà mica – cari Sindaci e Assessori da una parte, e cari Segretari e Dirigenti dall’altra – che dalla fine del lockdown pensate di tornare uguali a voi stessi e relazionarvi con i vostri collaboratori come avete fatto fino a febbraio, giusto…?
 
E allora vediamo nel dettaglio cosa vuol dire essere leader ai tempi del Coronavirus. Che poi, a ben guardare, si tratta degli stessi suggerimenti che davamo anche prima – e che qualcuno di voi applica egregiamente – che però la pandemia ha trasformato da optional a passaggi obbligati. Per tutti. Esattamente come lo smart working: prima stentava a decollare e c’era chi si permetteva di dire no, ni, forse, boh, aspetta, vediamo, frena. Poi, tutto d’un tratto, è diventato la salvezza.
 
E se qualcuno non vuole adeguare le sue competenze? Semplice: sarà spazzato via. Magari ci vorrà un po’, ma sarà fuori gioco, pesce fuor d’acqua, out, kaputt. Come se noi docenti pretendessimo di spostarci in aereo e in treno e di fare lezione solo in aula. Eh no, per qualche tempo bisognerà che accettiamo di parlare davanti a un computer dietro la scrivania dello studio di casa…
 
E voi, cari leader? Ecco i tre punti cardine che ci sentiamo di suggerirvi:
 
Con oltre la metà dei dipendenti che lavora da casa (e continuerà a farlo) i leader efficaci:

1. Scendono dalla torre d’avorio e si prendono cura non della risorsa umana (che brutta espressione, sullo stesso livello della risorsa strumentale e finanziaria, puah!), ma della persona. Di Carlo, di Simonetta, di Giovanna, di Marta… I dipendenti percepiscono così che i loro responsabili si preoccupano di loro più come esseri umani che come detentori di un ruolo.
 
2. Si trasformano da manager (magari anche un po’ grigi e avvinghiati al “lo dice la legge”) a coach, cioè diventano motivatori, capaci (benché a distanza) di tirare fuori il meglio dai loro collaboratori, anche sotto forma di idee innovative.

3. Ricordano costantemente ai dipendenti la missione dell’organizzazione.
 
Adesso vediamo come concretizzare i tre punti.
 
1. Per prendersi cura dell’individuo i leader instaurano un filo diretto con le persone stabilendo un dialogo, al di là dei ruoli. In modo da suscitare una reazione di questo tipo: «Ma allora ci tiene, non sono solo un numero…». La vecchia strategia delle mezze parole fatte arrivare da terzi e «poi vediamo come reagisce», già funzionava poco prima, figuriamoci ora… Infatti, mentre i giochini e i sotterfugi fanno cadere le braccia, la franchezza e il parlare chiaro sono molto più impegnativi, vero, ma alla lunga pagano, perché trasformano le persone da semplici dipendenti stipendiati ad ambasciatori, umanamente attaccati alla figura del loro responsabile e quindi anche al loro ambiente di lavoro. Una bella spinta per reggere meglio la fatica del momento… 

 

2. Per raggiungere tale risultato è fondamentale instaurare un senso di fiducia e sicurezza, in cui i dipendenti, al di là del ruolo, non hanno più paura ad alzare la mano e mettere sul piatto le loro proposte per timore di essere stoppati e ridicolizzati, ma prendono coraggio e magari diventano nuovi punti di riferimento e promotori di modi di lavorare più efficaci. 
 
Vedrete, nel periodo post Covid-19 emergeranno tanti nuovi e inaspettati coach. La conoscete la differenza tra manager e coach, vero? Mentre il primo ha capacità tecniche molto forti (hard skills) e ottiene rispetto dai collaboratori soprattutto grazie al titolo che ricopre e alle esperienze pregresse, il coach ha spiccate capacità empatiche e relazionali (soft skills) e conquista rispetto sul campo, per quanto dimostra di saper fare giorno per giorno. Inoltre è capace a dare feedback costanti, è visionario, sa prendere decisioni, sa condurre riunioni in cui tutti hanno opportunità di esprimersi, sa trascinare, sa ascoltare, sa infondere fiducia e sa delegare. Insomma sa creare engagement, coinvolgimento. Anche a distanza… Mentre la P.A. pre Covid poteva permettersi di avere un numero altissimo di manager, quella post Covid ha un bisogno vitale di rovesciare le proporzioni a favore dei coach. Ogni periodo storico ha i suoi leader…



3. Il terzo punto ha a che fare con quello che gli americani chiamano “A sense of purpose“, cioè a una sorta di forza ispiratrice, che risponde a queste domande: «In che modo forniamo il nostro contributo positivo alla società? Quali problemi risolviamo? A chi in particolare?». I dipendenti vogliono riempire di significato il loro lavoro: «Perché esistiamo e quale valore offriamo al mondo?». Per noi che operiamo nella Pubblica Amministrazione è più facile: offriamo servizi ai cittadini, siamo lì per loro. Però sapete come si dice: repetita iuvant, specie di questi tempi. Infatti è bene che i leader rinforzino costantemente messaggi che possono andare persi quando l’attenzione è risucchiata dalle attività quotidiane. E allora ben vengano riunioni virtuali in cui ad inizio settimana si fa il punto sul lavoro da svolgere (o a fine settimana su quello svolto) e si ribadisce la mission dell’organizzazione. Ben vengano anche video messaggi di non più di tre minuti.
 
Ogni punto meriterebbe articoli, webinar e corsi, e quindi è legittimo che qualcuno di voi possa sentirsi inadeguato e pensare: «Oddio, e ora come faccio?!». Ma noi rispondiamo: «Niente paura: tutto si impara. Soprattutto quando c’è la volontà di rimettersi in gioco e migliorarsi». Con questa certezza il resto segue. Coraggio!
 
Ad maiora!
 
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