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In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, celebrata ieri, i dati resi noti dall’Istat delineano un interessante quadro degli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, molti dei quali sono strettamente collegati al mondo del lavoro. Lo stereotipo di genere più diffuso è che “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”, convinzione diffusa tra il 32% della popolazione con più di 18 e meno di 74 anni. Il 16%, invece, ritiene che “in condizioni di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini rispetto alle donne”. In generale, gli stereotipi di genere si ritrovano nel 59% della popolazione, senza particolari differenze tra uomini e donne, e crescono al crescere dell’età (66% dei 60-74enni e 45% dei giovani).
Per quanto riguarda in particolare il mondo del lavoro, il 9% delle lavoratrici ha subito almeno un ricatto sessuale sul posto di lavoro e che l’11% dei ricatti sessuali terminano con il licenziamento della persona molestata. I dati mostrano inoltre come le donne più istruite o con posizioni professionali più elevate siano maggiormente soggette a violenze fisiche o sessuali e come il fenomeno riguardi in misura maggiore le donne più giovani.
Le donne in cerca di lavoro sono particolarmente soggette a molestie e questo accade in modo diverso in base all’occupazione ricercata: le donne soggette a queste forme di ricatto sono il 38% delle donne impiegate, il 30% delle lavoratrici nel settore commerciale o dei servizi, il 20% delle donne che cerca lavoro nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche e il 18% di chi cerca un impiego nel lavoro domestico.
Un recente accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria chiarisce come ogni genere di molestia sia inaccettabile e vada denunciata, e diverse aziende stanno sottoscrivendo protocolli in questa direzione. Tali accordi prevedono estensioni del periodo di congedo per le vittime di molestie, oltre ad attività di formazione e monitoraggio. A livello regionale, sono previsti inoltre accordi che contemplano l’eventualità di trasferimenti temporanei tra reparti e uffici o in altre unità produttive, contemperando la tutela delle persone, le esigenze organizzative e il rispetto del contratto di lavoro.
I Comitati Unici di Garanzia giocano un ruolo fondamentale nel contrasto alle molestie nel settore pubblico, soprattutto in quanto eredi del ruolo che la normativa precedentemente assegnava ai Comitato Paritetici contro il fenomeno del mobbing, i cosiddetti CAM. La recente direttiva 2/2019 rafforza ulteriormente questo ruolo, suggerendo la sperimentazione di sistemi di certificazione di genere quali strumenti manageriali e chiedendo di inserire nei piani formativi moduli relativi alla cultura di genere e alla conoscenza della normativa in materia di pari opportunità, oltre all’utilizzo di un linguaggio che sia rispettoso dell’identità di genere, anche attraverso l’adozione di linee guida apposite. Ancora più significativo l’adempimento previsto dalla direttiva 2/2019 in capo alla presidenza del CUG: la direttiva chiede infatti ai presidenti dei CUG di promuovere la costituzione di un Nucleo di ascolto organizzato interno all’amministrazione, in collaborazione con l’ufficio competente per la gestione del personale, allo scopo di rafforzare la funzione di “sensore” del CUG e al fine di segnalare ai soggetti funzionalmente e territorialmente competenti casi di violenza e discriminazione (diretta o indiretta) sul luogo di lavoro. Sotto questo aspetto, è positiva l’esperienza del Ministero degli Esteri, che dal 2012 raccoglie le segnalazioni di disagio riconducibili a molestie, mobbing e discriminazioni tramite uno specifico sportello di ascolto, coordinato dalla Consigliera di fiducia: lo Sportello ha raccolto 24 segnalazioni nel 2017 e 15 nel 2018. Sportelli di ascolto sono stati attivati anche all’interno dei sindacati, come quello creato dalla Cisl Vicenza, denominato “Buonlavoro”. Si tratta di iniziative di rilievo, in quanto come rilevato dall’Istat, nell’81% dei casi chi subisce un ricatto sessuale difficilmente ne parla con qualcuno, in parte perché ha una scarsa percezione della gravità dell’episodio (27%) o perché teme di essere giudicata e maltrattata al momento della denuncia (13%). è infine fondamentale evitare, come capita nel 34% dei casi, che situazioni critiche si “risolvano da sé”: quando le vittime rinunciano volontariamente a lavoro e carriera è infatti una sconfitta per tutti.
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