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Synergia Magazine

Lo smart working per la conciliazione

di Valerio Langè
Il lavoro agile, come è noto, è regolamentato dalla legge 81/2017 con lo scopo originario di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (art. 18). Con la legge 145/2018 l’accento è stato spostato più verso la conciliazione, con il comma 486 che indica che “I datori di lavoro pubblici  e  privati  che  stipulano accordi per l'esecuzione della prestazione  di  lavoro  in  modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro  in  modalità  agile  formulate dalle lavoratrici  nei  tre  anni  successivi  alla  conclusione  del periodo di congedo di maternità […], ovvero dai lavoratori con figli in condizioni  di disabilità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104”.
Si è così riorientato il lavoro agile quale strumento di conciliazione a favore anche della disabilità, individuando in particolare un criterio di priorità a favore dei genitori di persone con disabilità.

Il successivo decreto-legge 18/2020, cosiddetto “Cura Italia”, fa un ulteriore passo in questa direzione: all’articolo 39 indica che “fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel  proprio  nucleo  familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui  all'articolo  3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”. Si conferma così il diritto al lavoro agile sia per le persone con disabilità, sia per i lavoratori che si prendono cura di persone con disabilità, a patto che le mansioni lo consentano.
Il comma successivo dello stesso articolo prevede invece un criterio di priorità per i lavoratori con ridotta capacità lavorativa e recita: “Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.”

Si tratta di indicazioni che confermano l’orientamento che emerge da due recenti sentenze: il Tribunale di Grosseto ha accolto il ricorso di un lavoratore invalido al quale il datore di lavoro aveva rifiutato l’accesso al lavoro agile, ordinando di consentire al lavoratore lo svolgimento delle mansioni contrattuali in modalità di lavoro agile (Tribunale di Grosseto, sez. Lavoro, ordinanza 203/2020 502 del 23 aprile 2020).
Similmente, il Tribunale di Bologna ha ordinato il ricorso al lavoro agile per una lavoratrice invalida in misura del 60%, convivente con la figlia con disabilità grave. È da rilevare come, da un lato, la lavoratrice avesse fatto richiesta di accedere allo smart working, senza ricevere alcuna risposta; dall’altro, come le mansioni della lavoratrice presentassero caratteristiche compatibili con la modalità agile del lavoro (Tribunale di Bologna, sez. Lavoro, decreto 2759 758/20 del 23 aprile 2020).

Tanto per il settore privato quanto per il pubblico impiego, quindi, è evidente come il Legislatore stia incentivando sempre più il lavoro agile come misura di conciliazione anche a favore dei diritti delle persone con disabilità; la promozione dell’utilizzo di dispositivi tecnologici personali (previsto dall’articolo 87, comma 2 del decreto-legge 18/2020), messi quindi a disposizione dal lavoratore, va letto in questa ottica, eliminando qualsiasi alibi circa l’impossibilità di procedere all’introduzione del lavoro agile, fatta salva solamente la compatibilità delle mansioni e la possibilità per il datore di lavoro di richiedere la presenza fisica del lavoratore in sede in occasioni di comprovata e oggettiva necessità.
 

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