Mutamento Sociale n.13 - Gennaio 2007
Fino a poco tempo fa meta di fenomeni migratori soprattutto dall’Europa continentale (Austria, Germania e Svizzera), è solo da dieci anni che l’Alto Adige conosce importanti flussi migratori provenienti dall’area balcanica e est europea, dall’Africa e dall’Asia. Tra il 1998 e il 2004 la popolazione residente immigrata da questi paesi è quasi triplicata. Sebbene sia un territorio che si caratterizza per l’alto tasso di stagionalità dei flussi (insieme al Trentino, l’Alto Adige è una delle province che annualmente beneficia del numero più elevato delle quote di stagionali), negli ultimi anni è avvenuto un forte processo di radicamento che è sfociato nella crescita sempre più cospicua di famiglie. Si assiste cioè ad una graduale diminuzione dei single e alla crescita della popolazione minorenne: alla fine del 2004 questa costituiva il 20,4% della popolazione straniera, una percentuale che si discosta di poco da quella della popolazione locale (fonte ASTAT). Il monitoraggio del fenomeno nelle sue diverse articolazioni diventa quindi di importanza fondamentale per poter valutare la sua portata non solo nelle trasformazioni sociali locali ma anche negli stimoli che esercita sul sistema di welfare locale.
L’Osservatorio Provinciale sulle Immigrazioni della Provincia Autonoma di Bolzano, operativo da ormai quattro anni e di cui Synergia fa parte, ha il compito di restituire una conoscenza sistematica del fenomeno migratorio alle istituzioni locali per promuovere e facilitare azioni di policy orientate all’integrazione della popolazione immigrata nel contesto locale. Nell’ambito delle sue attività di ricerca, l’Osservatorio ha recentemente sperimentato la realizzazione di un’indagine campionaria con l’obiettivo di restituire un quadro descrittivo della situazione attuale. L’ambizione è stata non solo quella di rappresentare i diversi aspetti del processo di insediamento dei cittadini migranti ma anche di riportare la dimensione temporale del percorso migratori. Questo approccio si è rivelato particolarmente efficace nella misura in cui ha fatto emergere quanto i requisiti richiesti dal sistema locale per il conseguimento di un “buon livello di integrazione” spesso possono non coincidere con quelli necessari ad assicurare al cittadino immigrato una buona riuscita del suo progetto migratorio. Molti sono gli elementi soggettivi e proiettivi che concorrono all’evoluzione dell’esperienza migratoria. Studiare il processo di integrazione di un migrante nel territorio di insediamento, - se di integrazione ha senso poi davvero parlare, talmente sono complessi i cicli di vita di una società a partire da quella degli autoctoni stessi-, è un esercizio conoscitivo delicato che richiede un’analisi particolareggiata del vissuto e del background dell’individuo. Il modo in cui un immigrato si avvicina al nuovo ambiente normativo, sociale, economico e culturale è infatti fortemente correlato con una molteplicità di variabili che è spesso difficile circoscrivere ad una specifica ottica valutativa. Il percorso di ricerca intrapreso nel 2005 e portato a termine nel 2006* ha avuto perciò l’obiettivo ambizioso di analizzare attraverso lo strumento della social survey molte delle dimensioni che influenzano il processo di integrazione di un/a immigrato/a: dal percorso migratorio, all’inserimento lavorativo e sociale, alla formazione di una famiglia, alla condizione abitativa, agli atteggiamenti valoriali, alla propensione verso l’integrazione nella società di insediamento.
Quali sono stati i principali risultati?
Il quadro dei processi migratori in provincia di Bolzano che emerge dalle informazioni sincroniche e retrospettive fornite dal campione, offre un quadro sfaccettato, dove si riscontrano da un lato fattori omogenei alle traiettorie evolutive dell’immigrazione nel contesto europeo e in quello nazionale, dall’altro elementi specifici del territorio. I dati principali di continuità con l’esperienza italiana nel suo complesso sono la femminilizzazione della composizione dei flussi (le donne costituiscono quasi la metà del campione) -che diventa importante almeno a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, fino a diventare preponderante negli arrivi successivi al 1999- e l’aumento, nello stesso decennio, dell’immigrazione dall’area esteuropea.
Caratteristiche specifiche dell’immigrazione in Alto Adige sono invece la presenza di progetti migratori di stabilizzazione relativamente recenti, in un contesto territoriale in cui, più che in altri territori, una quota significativa di stranieri è impiegata in settori del mercato del lavoro ad alta incidenza di lavoro stagionale (agricoltura, ristorazione e turismo) e presenta dunque una alta frequenza di modelli migratori temporanei e “pendolari” (soprattutto dall’Europa Centro-Orientale). Si tratta soprattutto di cittadini provenienti dall’Europa non comunitaria (Albania con il 19,5%, Ex-Jugoslavia con il 18,8% e Europa Centro-Orientale con il 12,7%) e da Marocco e Pakistan (rispettivamente 10,2% e 8,2%), per la maggior parte concentrati nei centri urbani di Bolzano e Merano. Tra questi è rilevante l’insediamento di profughi dall’area balcanica nel corso degli anni Novanta, per i quali l’Italia è stato un ripiego dopo aver cercato, senza successo, asilo politico in altri Stati europei come la Svizzera e la Germania.
Approfondendo ulteriormente le biografie migratorie del campione (costituito da cittadini immigrati regolarmente residenti**) attraverso lo strumento delle funzioni di sopravvivenza, si sono potuti stimare i tempi di sperimentazione e i nodi problematici di una serie di eventi significativi, spesso identificati nella letteratura come step del percorso di integrazione e di radicamento nel territorio da parte dei cittadini immigrati. Con il metodo Kaplan Meier infatti è possibile stimare, sulla base di informazioni fornite in modo retrospettivo, la quota di persone che non hanno ancora sperimentato un dato evento dopo un certo numero di anni dall’arrivo in Italia. Gli eventi selezionati per comporre lo scheletro biografico sintetico della persona immigrata (arrivo a Bolzano, permesso di soggiorno, primo lavoro regolare, primo ritorno in patria, ricongiungimento o formazione della coppia, affitto di una casa, acquisto di una casa, attività di lavoro autonomo) sono stati analizzati secondo le seguenti dimensioni: genere, macroarea geografica di provenienza e periodo d’arrivo.
Pur consapevoli del rischio che un’eccessiva generalizzazione può comportare, qui di seguito si è scelto di riportare i risultati che permettono di delineare il profilo medio di chi immigra nella provincia di Bolzano, guardando alla biografia sintetica descritta dalla ricostruzione dei diversi valori in anni in cui la metà della popolazione studiata sperimenta i “passaggi” del percorso di vita considerato. Tra gli eventi che richiedono maggior tempo di maturazione si colloca soprattutto l’ottenimento di una condizione abitativa regolare, sia in affitto che di proprietà (in quest’ultimo caso i tempi vengono in media triplicati), elemento che rispecchia una difficoltà ricorrente anche nella popolazione autoctona ed è infatti l’ambito in cui le policy locali di molti territori, non solo quello in oggetto, faticano ancora a trovare formule che possa garantire equità di accesso tra la popolazione immigrata e quella autoctona. Questo elemento influisce in modo importante sul percorso di insediamento dei cittadini nel territorio se si considera che la stabilità di un’abitazione non è solo la risorsa necessaria per sottrarsi ai disagi procurati da sistemazioni alloggiative precarie ma per investire con maggiori chance di successo in strategie di formazione familiare meno fragili e incerte. A conferma di questo, il campione di intervistati sperimenta, in media, la formazione o la ricostituzione della coppia dopo 7 anni dall’arrivo in Italia. Su questo dato pesano certamente i modelli migratori del gruppo africano e asiatico che solo negli ultimi anni hanno inaugurato esperienze di immigrazione familiare e hanno iniziato a promuovere in modo via via crescente i ricongiungimenti con il coniuge. Allo stesso tempo incide la giovane età con cui molti sperimentano l’esperienza migratoria, prima ancora della costituzione della coppia. È però inoltre interessante notare che la tendenza ricostruita dall’event history analysis rispetto agli arrivi più recenti lascia ipotizzare che in tempi brevi la media in anni qui registrata tenderà progressivamente a ridursi. Le donne, più degli uomini sperimentano percorsi di maggiore “stabilità”: essendo nella maggior parte dei casi donne ricongiunte o impiegate nei servizi di cura -settore che più di altri ha beneficiato delle istanze di regolarizzazione istituzionale-, presentano un percorso migratorio più “regolare” con l’arrivo sul territorio provinciale, il raggiungimento di condizioni abitative regolari e l’ottenimento del permesso in tempi più rapidi che gli uomini. Esiste però anche il rovescio della medaglia: le donne che lavorano sperimentano tempi più lunghi nell’ottenimento di una posizione lavorativa regolare rispecchiando la situazione di maggior informalità e precarietà del mercato del lavoro dei servizi, il settore di inserimento occupato soprattutto dalle donne e non solo immigrate. Un ultimo dato eloquente riguarda il primo rientro al proprio paese di origine dove è ancora significativa la differenza tra uomini e donne: sono infatti le donne a sperimentarlo prima degli uomini. L’elemento maggiormente incisivo, a livello descrittivo, sembra essere la vicinanza geografica. Sono infatti gli immigrati dei collettivi nazionali dell’Europa balcanica e centro-orientale a sperimentare più rapidamente l’evento. Per lo stesso motivo gli immigrati dalla macroarea africana, asiatica, sudamericana lo sperimentano in un tempo medio più lungo. Questa prima descrizione può essere integrata dall’analisi delle risposte al questionario riguardanti la frequenza dei ritorni in patria. Nel gruppo di chi ha risposto di non essere mai tornato in patria il 46,8% è costituito da immigrati asiatici. E’ invece l’immigrazione dalla macroarea dei paesi dell’Est Europa che si contraddistingue per un alto numero di ritorni in patria. Le ricerche che in questi anni si sono preoccupate di mettere in luce le caratteristiche dei flussi da quest’area hanno descritto traiettorie complesse in cui prevalgono mobilità stagionale circolatoria, flussi pendolari, oltre alle cosiddette “migrazioni incomplete” che interessano più gli spostamenti transfrontalieri interni all’area dei paesi ex-sovietici. Anche la relativa maggiore facilità di ingresso e uscita dai paesi neo-Ue (in particolare Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) e dai paesi candidati all’integrazione (soprattutto la Romania), contribuisce sicuramente a questa particolare mobilità.
Figura 1. Valore in anni in cui la metà della popolazione immigrata sperimenta gli eventi dall’anno di arrivo in ItaliaAlla luce di queste considerazioni diventa interessante approfondire l’analisi comparando i tempi di sperimentazione dei singoli eventi disaggregando le biografiche migratorie per area di provenienza geografica.
Figura 2. Corsi di vita in anni per aree di provenienza e percentuale di popolazione (I e II quartile)La popolazione proveniente dalla macroarea africana presenta percorsi generalmente più lunghi per il raggiungimento degli eventi considerati, rispetto a tutti gli altri gruppi. Il profilo della stabilizzazione degli immigrati africani appare caratterizzato da una maggiore “fatica” soprattutto per quanto concerne l’integrazione lavorativa regolare e l’ottenimento di un contratto d’affitto. Le ragioni che pesano sul ritardo sono determinate dalle caratteristiche di un modello migratorio che ha visto questi migranti, soprattutto nord africani, raggiungere il territorio italiano in un periodo di minore incisività degli interventi regolativi istituzionali (prima degli anni Novanta) e con percorsi lavorativi caratterizzati da stagionalità e informalità. La predominanza di giovani maschi soli nella costituzione dei flussi e il peso relativamente minore della componente familiare può avere influenzato il ritardo nel raggiungimento di una condizione alloggiativa regolare. E’ invece la popolazione di immigrati dall’area dell’America centro-meridionale, con una storia immigratoria recente, concentrata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, a bruciare le tappe del percorso considerato. In termini generali i fattori che determinano questo maggiore successo sono da ascriversi ai percorsi di inserimento lavorativo favorito dalla politiche delle quote per il settore sanitario e socioassistenziale e all’attenzione riservata anche dalla politica provinciale a questo settore del mercato dei servizi. L’arrivo in regime di sostanziale regolarità, il riconoscimento del titolo di studio o i percorsi formativi di qualificazione riservati agli impiegati del settore, l’attenzione alle condizione alloggiative di cui si fanno garanti i datori di lavoro, rappresentano alcune delle dimensioni di vantaggio per gli immigrati, e in particolare per le donne, dall’America centrale e meridionale.
* La pubblicazione dei risultati è prevista nei primi mesi del 2007, a cura di Chiara Lainati e Salvatore Saltarelli, presso la casa editrice Praxis 3 di Bolzano.
** Per approfondimenti in merito al metodo di campionamento si rimanda alla pubblicazione.