[Mutamento Sociale n.32 - Luglio 2011]
Nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea, programma Fundamental Rights and Citizelship, una decina di interviste esplorative ad insegnanti e direttori didattici di scuole primarie e secondarie ci hanno permesso di approfondire i temi degli stereotipi legati all’omosessualità e delle politiche e dei progetti scolastici di sensibilizzazione e di lotta all’omofobia. Vengono qui riportati alcuni risultati dell’indagine.
A Milano l’omofobia pare non sia un’emergenza scolastica: non è particolarmente visibile, né numericamente significativa, quindi, a fronte di un sostanziale silenzio del Ministero dell’Istruzione sui temi legati all’identità di genere e all’orientamento sessuale (se escludiamo brevi cenni all’esistenza dell’omosessualità nei testi scolastici di scienze e alle persecuzioni naziste degli omosessuali in quelli di storia), gli insegnanti preferiscono non affrontare la questione, associata nelle interviste alla sessualità e all’educazione sessuale, meno ai temi dei diritti civili o del benessere psicologico dello studente. Pur ammettendo la diffusione di un linguaggio omofobico (es: “frocio”) sin dalla scuola primaria, la maggioranza degli insegnanti non si allarma e reputa che si tratti di parole di cui i bambini non conoscono il significato, oppure di parole usate in maniera offensiva alla stregua di altre, come “ciccione”, “puzzone” e così via, che non nascondono dunque, così dicono, un atteggiamento discriminatorio specifico, soprattutto alla scuola primaria. Il linguaggio omofobico viene raramente punito, molto spesso nemmeno fatto notare. Solo in pochi casi, di insegnanti particolarmente consapevoli, diventa spunto per affrontare la questione della diversità degli orientamenti sessuali. Al contrario, per analogia, l’offesa razzista in classe non è oggi più tollerata.
L’omosessualità e l’omofobia sono temi “sensibili” e “delicati”, a parere degli insegnanti: come per altri temi sensibili come la sessualità, le scuole tendono ad esternalizzare ad esperti le relative lezioni. Nel caso dell’educazione sessuale, alla ASL (con fondi in progressivo decremento) o ad organizzazioni del terzo settore; nel caso dell’unico progetto specifico sull’omofobia che ci è stato segnalato nelle scuole superiori, al gruppo scuola della sede locale dell’Associazione Arcigay, che ha l’obiettivo principale di “realizzare l’uguaglianza tra individui, a prescindere dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”. L’alternativa poco praticata è che singoli insegnanti sensibili ai temi delicati, nel nostro caso l’orientamento sessuale e l’omofobia, si assumano la responsabilità di integrare i testi ed il curriculum scolastico ufficiale, proponendo materiali culturali extra relativi alla propria materia. Un esempio banale: un poema di Catullo dedicato ad un uomo, impossibile da trovare su un testo scolastico, diventa spunto per parlare di identità di genere ed orientamento sessuale.
Innovare in classe è comunque faticoso, a parere degli insegnanti e molti riscontrano una generale tendenza dei colleghi a restare nei binari già tracciati, anche per evitare alla scuola tensioni con i genitori.
L’approccio al genere e alla biografia degli alunni della scuola è tendenzialmente “neutro”, mentre l’insegnante tenta di tenere la propria biografia fuori dalla classe. E’ controverso il parere se sia possibile, o illusorio farlo e non sia invece meglio che l’insegnante espliciti le proprie scelte culturali, anche mettendosi personalmente in gioco. La maggioranza degli intervistati si trova invece d’accordo sul fatto che gli unici valori sui quali sia lecito per gli insegnanti prendere una posizione chiara in classe siano quelli espressi nella Costituzione Italiana e nella Convenzione dei Diritti dell’Uomo.A prescindere dal grado della scuola, solo una minoranza degli intervistati reputa che parlare dei diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali sia al momento una priorità per il sistema educativo italiano.