In riferimento al tema in oggetto, a mo’ di premessa, occorre evidenziare alcuni cambiamenti culturali di livello macro che stanno interessando tutto il mondo occidentale:
- l’estensione del calendario formativo della popolazione nel suo insieme ed in particolare delle donne;
- l’entrata massiccia delle donne nel mondo del lavoro e la crescente importanza del lavoro e della carriera per la definizione della loro identità;
- l’aumento del controllo delle nascite, grazie alle nuove tecnologie della contraccezione, soprattutto femminile;
- l’aumento di separazioni e divorzi;
- le crescenti aspirazioni di consumo e di loisir;
- le crescenti attenzioni al proprio corpo, alla salute, al benessere psicofisico;
- una nuova cultura della scelta, dove l’autodeterminazione è l’aspetto chiave, legato al predominio di una visione individualista, ad un maggiore investimento nella autorealizzazione e ad una maggiore importanza attribuita al soddisfacimento dei propri desideri, con il conseguente rifiuto, o allentamento, dell’assunzione di vincoli permanenti.
All’interno di questo quadro generale, il contesto italiano presenta alcune specificità:
- grandi differenze regionali nelle scelte procreative;
- la diffusione della famiglia lunga del giovane adulto, che sta a monte degli altri ritardi nei passaggi “marker”;
- la persistenza della successione dei passaggi matrimonio-maternità;
- una struttura sociale familistica;
- le carenze del sistema di welfare nel supporto alla famiglia;
- la persistenza di una iniqua divisione dei compiti domestici e familiari tra partner;
- l’aumento delle coppie senza figli;
- una persistente bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro.
La letteratura più recente ci insegna che la maternità (e la paternità) non è oggi più concepita come un destino, ma è una decisione personale consapevole, nell’ambito di biografie, soprattutto femminili, decisamente meno rigide di un tempo. Mentre in Italia l’accordo collettivo sulla sequenza “corretta” matrimonio-filiazione tiene, non ci sono più forti regole sociali sull’ “età giusta” per avere il primo figlio. Dipende da quando “ci si sente pronti”, il che porta spesso ad un rinvio. Di fatto prendere questo tipo di decisione è molto difficile e tante coppie finiscono per non scegliere.
Una nuova visione perfezionistica e performante della maternità fa sentire tutto il peso della responsabilità di questa scelta, che contamina dunque il desiderio di procreare. La gran parte dell’aumento delle percentuali di donne senza figli è determinata quindi da cause “tradizionali”, ovvero problemi di sterilità o sub-fecondità, rafforzati da un ritardo nella formazione della famiglia. Per fare figli si vogliono delle garanzie economiche minime, che permettano di impostare un progetto di vita autonomo; in particolare, dati di ricerca dimostrano, l’ottenimento della stabilità lavorativa dell’uomo sembra essere un fattore centrale per la realizzazione maschile del desiderio del primo figlio. Avere un lavoro ha un effetto positivo sulle scelte genitoriali solo per gli uomini, mentre in Italia l’effetto è ancora negativo sulle donne.
Anche se il modello tipico italiano di famiglia composta da padre, madre e due figli è confermato come ideale, nello specifico dal 61% delle intervistate dell’indagine campionaria Istat sulle nascite (2005), per le donne che hanno già sperimentato la maternità con una prima nascita, la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia rende spesso ardua la venuta al mondo di un secondo figlio. La mancanza di modelli in cui identificarsi, capaci di rappresentare la maternità in modo coerente con i progetti e le aspirazioni delle donne e l’aver ereditato dalle proprie madri, che restano il riferimento chiave rispetto alla maternità, un mix di valori contradditori, oltre alla consapevolezza che la relazione coniugale potrebbe non durare, fa sì che la scelta del figlio unico si delinei impercettibilmente, come emerge da recenti ricerche, come un ideale che consente di coltivare se stesse, il proprio partner, il lavoro, essendo madri. Il passaggio da uno a due rappresenta un rischio di “sovraccarico”, anche perché se poi si resta da sola è un guaio.
Rispetto al 2002 l’indagine Istat sulle nascite del 2005 vede un aumento del numero delle madri con un figlio solo che indicano, come motivi prevalenti per non volerne altri, il costo dei figli e la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, connessa all’esperienza di difficoltà di rientro al lavoro sperimentata con il primo figlio (il 40,2% delle madri lavoratrici ha difficoltà di conciliazione e per questa sottopopolazione il fatto di avere una rete di supporto influisce positivamente sulla realizzazione del secondo figlio).
Gli aspetti più critici, in particolare, risultano essere quelli legati alla rigidità dell’orario, che costringe la donna in molti casi a licenziarsi (12,4% delle intervistate nell’indagine 2005).
Dai dati di ricerca (vedasi ad esempio Isfol 2005) scopriamo che la traiettoria lavorativa della donna alla nascita del primo figlio subisce spesso una battuta di arresto e non a caso le nascite di secondo ordine sono più probabili tra le casalinghe e le insegnanti, al contrario che per gli uomini, per i quali la fecondità è positivamente correlata alla presenza, anche in termini orari, sul mercato del lavoro, perché per le madri lavoratrici i progetti mano mano si ridimensionano quando si scontrano con le difficoltà concrete del vivere quotidiano. Il mercato del lavoro oltre ad essere per le donne fortemente discriminante all’ingresso, non prevede reali possibilità di temporanee interruzioni alla propria carriera professionale o strategie innovative di conciliazione.
E’ possibile quindi non essere costrette a scegliere tra maternità e lavoro, ma realizzarsi in entrambe le sfere, riuscendo magari anche ad avere un po’ di tempo per fare altro, esternalizzando la cura, ma solo in parte, disponendo di reddito da lavoro, ma anche di tempo per stare con i figli, soprattutto quando sono piccoli?
Affinché ciò avvenga la maternità dovrebbe uscire dalla sfera privata e diventare un tema di interesse sociale. La società non ha ancora una cultura della maternità adeguata alle donne che sono sia madri che lavoratrici; da un lato, il mondo del lavoro è ostile alla maternità, dall’altro, si tende a colpevolizzare le donne in qualunque caso: sia se fanno pochi figli, sia se li fanno e non se ne occupano abbastanza per poter seguire il lavoro, sia, rispetto al lavoro, se si prendono tempo per i figli.
Qualora la donna venisse aiutata maggiormente dal partner nella cura dei figli, soprattutto se anch’ella lavora per il mercato e dunque risulta decisamente “sovraccaricata”, sarebbe maggiormente disposta a fare più figli. Ricordiamo infatti che se per la prima maternità sono i maschi a opporre una maggiore resistenza e a ritardare il passaggio, relativamente ai figli di ordine superiore al primo recenti ricerche ci insegnano che sono piuttosto le donne a ritardare ed infine eventualmente rinunciare. D’altro canto la richiesta del congedo di paternità, ad esempio, viene oggi vista come una prova di scarso attaccamento al lavoro (ora vedremo cosa succederà con la nuova legge europea).
Quali sono le politiche più efficaci e più gradite per migliorare la qualità della vita delle famiglie con figli? Abbiamo proposto alle intervistate coinvolte in diverse survey face to face condotte da Synergia nel nord Italia su campioni rappresentativi di coorti di donne una batteria di “politiche possibili” implementate a livello italiano o europeo sulle quali riflettere ed esprimere un parere. Due sono gli aspetti più interessanti da sottolineare. Il primo è che pur con delle differenze, emerge con chiarezza l’importanza di misure volte a facilitare la conciliazione tra carico familiare e lavorativo direttamente attinenti alla sfera del lavoro, a prescindere che la donna intervistata lavori o meno, o abbia o meno dei figli. Il secondo aspetto è che svettano decisamente al di sopra di tutte le altre policy due punti di attenzione: il miglioramento delle possibilità di aspettativa lavorativa di maternità e orari di lavoro più flessibili per entrambi i genitori lavoratori con figli piccoli, al primo e secondo posto in tutti e tre i territori.
Si tratta di politiche sulle quali il dibattito degli ultimi anni, a prescindere dal colore del governo in carica, non si è sufficientemente concentrato.
Le imposte sul reddito più basse così come altre politiche (l’ampliamento della rete dei servizi, gli assegni familiari, ad esempio) di cui non si vuole discutere in questa sede l’importanza, hanno ricevuto senz’altro maggiore attenzione a scapito degli aspetti sopra discussi, relativi appunto ad una autodeterminazione della biografia lavorativa della donna, che esprime esigenze diverse nel corso del ciclo di vita familiare.
Qui non abbiamo la possibilità di vedere anche seconda e terza scelta di policy preferita per tutti e tre i territori, ma in generale le misure relative al miglioramento delle condizioni di lavoro (ad includere quindi anche maggiori e migliori opportunità di lavoro part time) sono sempre in alto nel rank order, con uno stacco deciso dalle altre policy. A seguire, imposte sul reddito più basse per chi ha figli a carico.
Misure volte a facilitare l'avere, il curare e il crescere i figli
Prima scelta per la coorte delle 30-34enni - Valori percentuali