L’ultimo Dpcm, disponibile in fondo alla pagina, continua a raccomandare il ricorso al lavoro agile: il testo ne raccomanda l'impiego per tutte le attività professionali, ove possibile.
Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione in particolare, viene chiesto di garantire il lavoro agile almeno per la percentuale prevista dal comma 1 dell'articolo 263 del decreto-legge 34/2020.
Tuttavia, l'articolo in questione non riporta alcuna percentuale: il riferimento è invece all'allegato 3 della legge 77/2020, che ha convertito il decreto-legge 34/2020, e che sul punto dispone che
Al fine di assicurare la continuità dell'azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adeguano l’operatività di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali. A tal fine, fino al 31 dicembre 2020, in deroga alle misure di cui all'articolo 87, comma 1, lettera a), e comma 3, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell'orario di lavoro, rivedendone l'articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l'utenza, applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui al comma 1, lettera b), del medesimo articolo 87, al 50 per cento del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità.
La norma però solleva alcuni dubbi circa il calcolo del numero di persone corrispondente alla quota prevista: se, ad esempio, in una Amministrazione con 100 unità di personale, 30 svolgono attività non remotizzabili, mentre le restanti 70 unità svolgono attività remotizzabili, la norma chiede di applicare il lavoro agile a 35 unità di personale (il 50% di 70). La questione si complica se una parte del personale svolge attività solo in parte remotizzabili: ad esempio, se su 200 unità di personale, 50 svolgono attività non remotizzabili (gruppo A), 50 svolgono attività completamente remotizzabili (gruppo B), e 100 unità di personale svolgono attività remotizzabili nella misura del 10% (gruppo C), qual è il numero minimo di persone a cui dare accesso al lavoro agile? Appare ragionevole pensare che possa essere il 50% del gruppo B, cioè 25 persone, e il 5% (che è il 50% del 10%) del gruppo C, cioè 5 persone, per un totale complessivo di 30 persone.
Occorre rilevare come il 50% sia un limite minimo (... garantire il lavoro agile almeno per la percentuale prevista...), un punto di partenza per avviare un cambiamento più ampio: lo stesso ministro ha infatti dichiarato recentemente che "... lo smart working a regime sarà qualcosa di diverso, sarà basato sui risultati e sarà un lavoro agile che non prevede per il lavoratore cinque giorni su cinque a casa. Piuttosto prevede una gestione di spazi comuni, magari anche la possibilità di uno o due giorni a settimana di lavoro non necessariamente tra le mura domestiche”.
Insomma, se il Dpcm conferma il ricorso allo smart working quale strumento per contemperare continuità dell’azione amministrativa e tutela della salute pubblica,
diversi sono gli aspetti da chiarire da parte del Ministero per della pubblica amministrazione. Oltre a quanto illustrato sopra, restano poco chiari i
contenuti del POLA,
da redigersi entro il 31 gennaio 2021, e se il POLA debba
affiancare o piuttosto sostituire eventuali regolamenti già approvati o in via di approvazione da parte di ciascuna Amministrazione.